L’approccio terapeutico
e riabilitativo

Stefano Respizzi*,
Maria Cristina D’Agostino*
Lucio Genesio*, Pietro Romeo*,
Valerio Sansone**
* Dipartimento di Riabilitazione e
Rieducazione Funzionale IRCCS
Istituto Clinico Humanitas, Rozzano (MI)
** Clinica Ortopedica, Università degli Studi di Milano




Il trattamento delle patologie tendinee con onde d’urto
Stefano Respizzi*,
Maria Cristina D’Agostino*
Lucio Genesio*, Pietro Romeo*,
Valerio Sansone**
* Dipartimento di Riabilitazione e
Rieducazione Funzionale IRCCS
Istituto Clinico Humanitas, Rozzano (MI)
** Clinica Ortopedica, Università degli Studi di Milano





La parola al radiologo
Il trattamento percutaneo ecoguidato della tendinopatia calcifica della cuffia dei rotatori

G. Serafini, N. Perrone, M. Baglietto
L. Sconfienza*, F. Lacelli



L’associazione Glucosamina+
Condroitina
favorisce il recupero
della mobilità articolare

a cura della Redazione



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Anno 10 - Numero 3 - 2010
IL MEDICO SPORTIVO
Periodico di aggiornamento scientifico e
professionale


Il trattamento delle patologie tendinee con onde d’urto

ntroduzione
Caratterizzate, dal punto di vista fisico, da una precisa forma d’onda (che le contraddistingue, per esempio, da ultrasuoni e altre forme di energia fisica utilizzata in campo terapeutico), le onde d’urto extracorporee (Extracorporeal Shock Waves Therapy o ESWT) sono in grado di produrre effetti profondamente diversi, in funzione del tipo di struttura o tessuto investito dal loro campo d’azione. Le prime applicazioni con onde d’urto in campo medico risalgono all’ambito urologico: è noto che i calcoli renali, concrezioni calcifiche di materiale non vitale, investiti dal fronte di onde d’urto (ad alta energia), si sgretolano progressivamente, per un effetto di tipo meccanico (litico) e grazie alla loro consistenza. Si tratta, pertanto, di un effetto che sottostà esclusivamente alle leggi della fisica. Fu solo dopo la metà degli anni novanta, a seguito di osservazioni cliniche e riscontri di natura occasionale in ambito ortopedico-traumatologico, che si cominciò a sfruttarne anche l’effetto propriamente “biologico”. Dapprima per stimolare la rigenerazione ossea nelle pseudoartrosi e nei ritardi di consolidazione e poi anche per la terapia di patologie tendinee di origine flogistica e/o degenerativa. Gli studi clinici e sperimentali che seguirono alle prime osservazioni occasionali, e che hanno visto un recentissimo e rapido sviluppo, hanno chiarito l’importante potenziale biologico derivante dall’applicazione di tale terapia. In altri termini: a differenza di quanto osservato sulle concrezioni litiasiche, nei tessuti viventi l’energia meccanica trasferita alle cellule e alle strutture correlate (principalmente matrice extracellulare e fluidi extracellulari), opportunamente dosata e applicata secondo standard terapeutici codificati, non produce effetti né litici né lesivi, bensì positive risposte biologiche con proprietà terapeutiche. La chiave di comprensione con cui spiegare come sia possibile ottenere effetti biologici da una stimolazione di tipo fisico (energia meccanica) è stata recentemente individuata, come peraltro già per altre funzioni biologiche, nel fenomeno noto come “meccanotrasduzione”.


Principi di fisica delle onde d’urto
L’onda d’urto può essere definita come un impulso acustico, caratterizzato da:


• elevato picco pressorio (> 500 bar)
• breve durata (< 10 µs)
• rapido innalzamento pressorio (< 10 ns)
• spettro di frequenza assai variabile (16 Hz – 20 MHz).


La rapida propagazione, in sequenza, di onde caratterizzate da questa precisa forma fisica, è in grado di indurre elevate forze di sollecitazione sulle interfacce fra i tessuti, caratterizzati da diversa densità, così come di generare forze di trazione, con possibilità di dare origine al fenomeno della cavitazione.
Per essere utilizzata a scopo terapeutico, l’energia dell’impulso acustico deve essere concentrata (ovvero “focalizzata”) sull’area da trattare. La produzione di apparecchiature che generano onde d’urto focalizzate è differente, in funzione di tre diversi tipi di generatore che possono essere impiegati, e che rispondono a tre diversi principi o metodi fisici:


n il principio elettroidraulico
n il principio elettromagnetico
n il principio piezoelettrico

In altri termini: l’onda d’urto viene generata nell’acqua (rapidissimo aumento di pressione), contenuta in una speciale camera della fonte terapeutica, con modalità diverse in funzione del tipo di apparecchiatura, comun­que dotata di una superficie interna riflettente, avente lo scopo di concentrare l’energia dell’onda d’urto in un definito Volume Focale terapeutico, a una precisa Profondità Focale. Le diverse apparecchiature disponibili in commercio per la terapia con onde d’urto focalizzate differiscono per le modalità con cui l’onda d’urto viene generata. Si distinguono pertanto:


il principio elettroidraulico: l’evento iniziale origina a seguito di una forte scarica di alta tensione tra le punte di un elettrodo situato nel Fuoco F1 di una camera, avente la superficie riflettente interna a forma geometrica di semi-ellissoide. L’energia dell’onda d’urto, così prodotta, viene quindi focalizzata in un’area (o volume focale) avente come centro il Fuoco F2 dell’ellissoide di sviluppo della camera riflettente;
il principio elettromagnetico: l’evento iniziale viene prodotto da una forte e rapida repulsione e attrazione a livello di una membrana di materiale ferromagnetico, generate a loro volta da un campo magnetico. Tale campo magnetico viene prodotto da una forte corrente, che attraversa l’avvolgimento di una bobina elettromagnetica, a sua volta di forma piatta o cilindrica. In particolare, nel caso di sorgente di tipo cilindrico, l’energia viene focalizzata dalla superficie interna riflettente della testa, dotata di forma geometrica paraboloide;
il principio piezoelettrico: l’onda d’urto viene prodotta per la rapida e simultanea dilatazione di volume di molti cristalli piezoelettrici, disposti sulla superficie di una sorgente sferica, sottoposti a un forte differenziale di alta tensione. A sua volta, la superficie sferica, sulla quale sono distribuiti i cristalli di cui sopra, concentra tutti i contributi di pressione esercitata sull’acqua dai singoli cristalli, nel centro focale corrispondente al centro della sfera.


Onde d’Urto Radiali
(Radial Shock Wave Therapy)

In campo ortopedico-fisiatrico, vengono impiegate, già da diversi anni, anche onde d’urto radiali (o balistiche). Il principio con cui sono prodotte onde d’urto radiali è quello newtoniano, della trasformazione di energia cinetica in energia meccanica. Esse sono prodotte, infatti, da generatori di tipo pneumatico, collegati a un manipolo, al cui interno, a seguito di un impulso generato da aria compressa, viene accelerato un “proiettile”; l’impatto del proiettile sull’applicatore genera l’onda d’urto, e questa viene trasmessa a sua volta attraverso il tessuto, espandendosi radialmente. Le loro caratteristiche fisiche differiscono da quelle delle onde d’urto cosiddette focalizzate, poiché l’energia prodotta dall’onda di pressione raggiunge il suo massimo già in prossimità della zona di applicazione, che è poi la superficie cutanea, quindi diverge radialmente e si attenua in profondità. Per tale motivo, le onde radiali efficaci, dal punto di vista terapeutico, per processi patologici più di superficie, potrebbero risultare meno efficaci per patologie di strutture site in profondità (es. pseudoartrosi di grandi segmenti), e laddove siano richiesti livelli energetici più elevati.
Oltre che nelle patologie infiammatorie tendinee, trovano interessante applicazione anche a scopo antalgico e decontratturante sulla muscolatura, così come nel trattamento dei cosiddetti “trigger points”, oltre che in campo veterinario. I fenomeni fisici che sottendono alla produzione, propagazione ed effetti delle onde d’urto focalizzate sono noti grazie agli studi per le applicazioni in urologia (dsintegrazione dei calcoli renali). In questo campo, la determinazione della potenza disintegrante, che agisce sul calcolo artificiale nelle prove di laboratorio, è calcolabile con formula matematica, che, per quanto possa essere valida ed applicabile in urologia, non consente di calcolare adeguatamente gli effetti terapeutici sui tessuti vitali, anche perché gli effetti e l’obiettivo della terapia in urologia e nel campo delle patologie muscolo-scheletriche sembrano essere assolutamente differenti. Attualmente, si conoscono, infatti, due principali azioni delle onde d’urto:


• un effetto “diretto” e immediato, da attribuire al rapido picco di pressione positiva iniziale (< 10 ns);
• un altro effetto, per così dire, “indiretto”, legato alle forze di trazione (fase negativa), cui si correla il fenomeno della cavitazione.

L’attraversamento, da parte del fronte d’onda, di differenti materiali con diverse caratteristiche di impedenza acustica, genera, a livello delle diverse interfacce, fenomeni di riflessione, refrazione e penetrazione nel materiale stesso, con perdita di parte dell’energia iniziale. L’effetto di rottura di un materiale investito dall’onda d’urto (il cui rapido aumento pressorio crea tensioni molto alte alle interfacce), se è sufficiente per disintegrare un calcolo renale, può non avere alcun effetto rilevante su un osso intatto, e questo fenomeno, solo apparentemente paradosso, è legato alla plasticità del materiale stesso. La seconda fase dell’onda d’urto corrisponde a un abbassamento della pressione, in grado di indurre il fenomeno della cavitazione: durante la fase di pressione negativa, le forze di trazione possono generare la formazione di piccolissime bolle di gas (o microbubbles) nel mezzo liquido. Le microbubbles, al contatto con l’interfaccia, possono collassare in maniera asimmetrica, dando origine a microgetti d’acqua (i cosiddetti jet streams), con elevato potere lesivo per le superfici che ne vengono investite, potenzialmente in grado di forare la superficie stessa (vedi, per esempio, i fenomeni di erosione delle eliche delle navi). è noto che la disintegrazione di un calcolo renale derivi dalla combinazione di effetti fisici diretti e indiretti, mentre per le azioni studiate e descritte sui tessuti viventi, non è ancora chiaro, al momento, quale sia l’effetto dominante: è comunque probabile che possa essere la combinazione delle due azioni fisiche, variabile anche in relazione al livello di energia applicata.
I calcoli renali (costituiti da concrezioni calcifiche, materiale inerte, non vitale), investiti dal fronte di onde d’urto (ad alta energia), per semplice azione meccanica (impatto, urto), progressivamente si sgretolano, a causa della loro dura consistenza (si tratta pertanto, di un effetto di tipo puramente fisico). Sui tessuti vitali, i meccanismi biologici che vengono stimolati dall‘azione delle onde d‘urto non sono ancora del tutto chiariti. In questo campo, per valutare il livello di successo della terapia, non può essere utilizzata la misurazione della capacità di disintegrazione del calcolo, impiegata invece in Litotripsia Urologica. Non è stata ancora trovata, purtroppo, una precisa correlazione fra le proprietà del campo acustico e l’impatto biologico delle onde d’urto. A livello dei tessuti corporei, che sono vitali, con caratteristiche strutturali e proprietà fisiche diverse (in funzione della sede anatomica, del tipo/grado di lesione, dell’età e dello stato di imbibizione acquosa), gli effetti fisici, da cui si originano le reazioni biologiche, sfruttate ai fini terapeutici, sono assolutamente variabili e non sempre prevedibili (almeno fino ad oggi). Essi derivano dalla complessa combinazione di fenomeni di riflessione, trasmissione e assorbimento, percepiti dalle cellule come una stimolazione meccanica, che viene tradotta in reazioni biologiche. Sebbene molti progressi siano stati fatti, soprattutto nel corso degli ultimi anni, relativamente ai meccanismi d’azione, l’effetto terapeutico delle onde d’urto, nelle applicazioni muscolo-scheletriche, non è stato ancora chiarito completamente. Questo anche per la difficoltà di valutare scientificamente e matematicamente i parametri fisici dell’energia utilizzata, nonché per la difficoltà di uniformare, per singole patologie e diversi litotritori utilizzati, i diversi protocolli terapeutici.


La meccanotrasduzione

La rilevazione e la risposta a stimoli di tipo fisico è essenziale per tutte le cellule, ma risulta di particolare importanza per quelle cellule che giocano un ruolo meccanico fondamentale. La natura per così dire “primordiale” di tale interazione suggerisce che il controllo di tali processi dovrebbe avere un elevato livello di regolazione, così come le risposte dovrebbero integrare diversi aspetti della fisiologia cellulare. è noto, per esempio, che forze di natura meccanica partecipano al processo di morfogenesi, dal livello di singola cellula fino a quello dell’intero organismo. Studi molto recenti avrebbero individuato un ruolo specifico delle stimolazioni di tipo meccanico in eventi-chiave dello sviluppo. A sua volta, il movimento dei fluidi corporei risulterebbe importante per la vasculogenesi (forze tangenziali, o “shear stresses”, piuttosto che il trasporto di fluidi, sarebbero lo stimolo primario per il rimodellamento dei vasi neoformati). Secondo un’acquisizione ancor più recente, l’actina del citoscheletro e il microambiente meccanico avrebbero un ruolo critico nel determinare la differenziazione delle cellule staminali stesse.
La comprensione dei meccanismi e della sequenza di eventi, che correlano le forze di tipo meccanico alla differenziazione di cellule e tessuti, potrà condurci, in un futuro prossimo, alla comprensione di molte malattie congenite ed alla messa a punto di nuove strategie nell’ambito della medicina rigenerativa. Il meccanismo per cui le cellule riescono a convertire stimoli di natura meccanica/fisica in risposte di tipo biochimico è noto come meccanotrasduzione. La meccanotrasduzione cellulare è stata obiettivo di intensa ricerca scientifica nel corso degli ultimi decenni, sì da portarci alla comprensione di molte funzioni fisiologiche degli organismi viventi (es. il tatto, l’equilibrio, l’udito, ecc.); tuttavia, i dettagli di come le cellule rispondano agli stimoli esterni risultano ancora in parte sconosciuti.
In corso di meccanotrasduzione, forze fisiche esterne, di natura macroscopica, possono trasformarsi a un livello d’ampiezza decisamente inferiore, di natura microscopica, tale da influenzare il comportamento meccanico di biomolecole e dei loro eventuali conglomerati. La comprensione dei meccanismi tramite i quali un evento esterno agisce sulla cellula si è evoluta nel corso degli anni.
Superato ormai il vecchio concetto del “trasportatore rotante transmembrana” degli anni settanta, sappiamo ora che nel fenomeno della meccanotrasduzione intervengono ben più complesse strutture molecolari (canali ionici stretch-attivati, caveole, integrine, caderine, recettori dei fattori di crescita, miosin-motors, filamenti del citoscheletro, nucleo e matrice extracellulare). Conosciamo tuttavia ancora poco, sia di come queste strutture funzionino all’interno della singola cellula, di tessuti e di organi, che di come questi “comportamenti” siano orchestrati, nella vita adulta così come durante l’embriogenesi.
I lavori di letteratura più recenti sottolineano l’uguale importanza dei vari costituenti la via della meccanotrasduzione e di come questi funzionino come tasselli di un unico sistema.
Si parla, infatti, di “gerarchie strutturali” al­l’interno del nostro corpo, ovvero una struttura dentro un’altra struttura, tutte unite da connessioni che vanno da dimensioni macroscopiche a quelle nanometriche, e tutte coinvolte nel percorso concertato e simultaneo, che parte dallo stimolo e arriva alla risposta. Sono stati descritti alcuni concetti generali relativi alla meccanotrasduzione:


• le molecole specializzate (o meccanotrasduttrici) sono in grado di cambiare la loro attività chimica in seguito a distorsioni morfologiche, convertendo così l’energia meccanica in energia biochimica;
• tali modificazioni morfologiche sono anche il fattore limitante l’attività chimica (trasduzione);
• durante la normale attività biochimica, queste molecole possono venire stimolate da stress meccanici di varia natura, in ragione del loro stato morfo-strutturale;
• le forze fisiche (es. temperatura e stress) determinano una specificità di risposta, in ragione dell’applicazione dello stimolo, dell’intensità e della durata dello stesso;
• le forze fisiche influenzano l’equilibrio chimico e la polimerizzazione molecolare;
• virtualmente, tutti gli organi e i tessuti sono organizzati come gerarchie strutturali “preattivate”, mostrano cioè un’immediata responsività agli stimoli meccanici e modificano le loro caratteristiche fisiche proporzionalmente all’entità dello stimolo applicato;
• le cellule si avvalgono di precisi recettori transmembrana, che accoppiano il loro citoscheletro alla matrice extracellulare (Extra Cellular Matrix, o ECM); in questo modo, non solo le singole cellule sono “accoppiate” alle viciniori, ma ciascuna di esse entra a far parte di una vera e propria rete molto più estesa (proprio come il ragno è in grado di percepire gli stimoli provenienti da ogni singolo filo della sua tela).


Nonostante alcuni eventi cellulari a lungo termine (come ad esempio il rimodellamento tissutale) coinvolgano necessariamente una modifica dell’espressione genica, molte delle risposte cellulari agli stimoli di natura meccanica sarebbero legati alla stimolazione di canali cosiddetti Meccano-Sensibili (MS), di cui esistono alcune famiglie, con diverse funzioni e diversi sistemi di controllo apertura/chiusura (gating).
Per esempio, a parte alcuni recettori di tipo tattile, correlati a variazioni di potenziale di membrana, ne esistono molti altri, accoppiati alle Proteine G (protein G-coupled receptors o GPCR), che funzionano come meccanosensori e che vengono attivati da forze di taglio (o shear stresses), a seguito del movimento di fluidi; essi giocherebbero un ruolo importante, per esempio nei meccanismi di riparazione tissutale, così come nella guarigione delle ferite.
Nonostante il ruolo chiave dei canali MS nelle cellule eucariote, poco si conosce ancora sul loro meccanismo di funzionamento. Le modificazioni conformazionali dei canali MS, a seguito di perturbazioni esterne applicate sulla membrana stessa, sottostanno a principi di tipo meccanico, gli stessi che governerebbero le reazioni biochimiche indotte dalle stimolazioni di tipo fisico.
La meccanotrasduzione è dunque un importante meccanismo biologico, per il quale stimolazioni di tipo meccanico agiscono su una cellula e attivano un sistema di segnali intracellulari. Questi, a loro volta, promuoverebbero i processi di crescita e sopravvivenza, governando la morfologia e l’architettura in molti tipi cellulari, così come influenzando le risposte metaboliche. Differenti tipi di cellule possono rispondere diversamente a modificazioni del microambiente meccanico, e le basi molecolari della meccanotrasduzione, soprattutto per quel che riguarda i fenomeni a livello della membrana cellulare, sono tuttora oggetto di studio. è noto che le stimolazioni di natura meccanica fungono da importanti regolatori dell’omeostasi del tessuto connettivo.
Evidenze sperimentali confermerebbero il dato secondo cui, forze meccaniche, applicate esternamente, possono indurre una rapida e sequenziale produzione di ECM, in maniera selettiva, da parte dei fibroblasti, piuttosto che una riposta ipertrofica di tipo generalizzato.
L’ECM è un agglomerato di sostanze le cui proprietà biochimiche e biofisiche consentono la costruzione di una rete flessibile (network), che integra le informazioni provenienti dalle diverse stimolazioni meccaniche, e le trasforma in competenze di tipo meccanico.
Funziona come substrato di adesione per le cellule, grazie alla presenza di integrine, destroglicani e proteoglicani a livello di superficie cellulare, così come di recettori tirosin-kinasi correlati. L’ECM del tessuto connettivo consente il legame con altri tessuti e gioca un ruolo fondamentale nella trasmissione delle forze, così come nel mantenimento dell’integrità strutturale di tendini, legamenti, ossa e muscoli. Il rimodellamento della matrice extracellulare è influenzato dall’attività fisica: la stimolazione meccanica è, infatti, in grado di implementare la sintesi sia del collageno che delle metalloproteinasi. In generale, le modificazioni dell’ECM sono strettamente correlate al pattern di stimolazione meccanica e lo stress di tipo meccanico può regolare la produzione di proteine dell’ECM indirettamente, attraverso il rilascio di fattori di crescita di tipo paracrino, o direttamente, innescando l’attivazione di specifici sistemi enzimatici, che si traducono nell’attivazione genica.
Esiste evidenza sperimentale secondo cui la tenascina-C, un costituente dell’ECM, è regolata in via diretta dalla stimolazione di tipo meccanico: l’induzione, infatti, di mRNA, in fibroblasti sottoposti a forze di trazione, è rapida, sia in vivo che in vitro, non dipende dalla sintesi di proteine preesistenti, e non è mediata dal rilascio di fattori di crescita nel mezzo. I fibroblasti sarebbero in grado di percepire le deformazioni strutturali indotte a livello dell’ECM dalle stimolazioni di tipo meccanico.
Studi sperimentali evidenziano come lo stato di tensione (cioè il “pre-stress”) del citoscheletro rappresenti un fattore importante nei meccanismi di meccanotrasduzione: il rilassamento del citoscheletro (da inibizione della Rho-Kinasi-dipendente) sopprime l’induzione dell’attivazione del gene della tenascina-C che si avrebbe dopo stiramento, e perciò desensibilizza i fibroblasti ai segnali di tipo meccanico. Relativamente all’ECM, a livello genico sembra ormai chiaro il meccanismo secondo cui differenti stimoli-segnale possano regolare l’attivazione di sequenze geniche diverse, con modalità complesse.
è noto ormai il dato secondo cui il tessuto connettivo adatta la sua ECM alle mutate condizioni di carico meccanico, così come si osserva, ad esempio, nel rimodellamento osseo e nei processi di cicatrizzazione. è stata ipotizzata l’esistenza di un meccanismo di feedback, grazie al quale le cellule, che percepiscono le stimolazioni (stress) attraverso il loro substrato, risponderebbro modificando il pattern di sintesi proteica e rimodellando l’ECM, per far fronte alle mutate esigenze biomeccaniche.
Questi segnali sono innescati nelle cellule del tessuto connettivo a seguito di una stimolazione meccanica, ed esistono evidenze sperimentali secondo cui integrine, proteine di adesione transmembrana e recettori segnale (che collegano l’ECM al citoscheletro) gio­che­rebbero un ruolo chiave nella trasduzione dei segnali di tipo meccanico, probabilmente attraverso la via enzimatica della MAP-kinasi e dell’NF-kappaB; in ogni caso, la via di regolazione ultima sarebbe a livello della trascrizione nucleare.
Da un punto di vista generale, sembra ormai chiaro che, per quel che riguarda l’ECM di tendini e muscoli, qualsiasi stimolo meccanico può dare origine a un fenomeno di adattamento, per rendere il tessuto più resistente al danno, sì da garantire la miglior trasmissione meccanica a seguito della contrazione muscolare. L’interazione fra ECM e molecole di adesione comporta l’attivazione di sistemi di segnali intracellulari precostituiti, oltre a un riarrangiamento del citoscheletro. Inoltre, le ProstaGlandine (PG), con le loro catene laterali di glicosaminoglicani, possono legare e presentare ai rispettivi recettori alcuni fattori di crescita: in tal modo, l’ECM, dopo stimolazione di tipo meccanico, può rilasciare fattori di crescita. L’esatta sequenza di attivazione dei sistemi di segnalazione intracellulare, in corso di meccanotrasduzione, non è ancora stata descritta: tuttavia, molti candidati sono stati indicati sia nei fibroblasti del derma, che in quelli dei vasi o nel muscolo cardiaco. Le molecole di integrine rappresentano il maggior componente strutturale a livello dei siti adesione fra membrana cellulare e citoscheletro. Esse rappresenterebbero un sistema strutturale di comunicazione, per cui forze di tipo meccanico verrebbero trasmesse dall’esterno della cellula all’interno e viceversa. Inoltre, le integrine sarebbero i sensori in grado di rilevare forze di trazione a livello della superficie cellulare. Secondo alcuni autori, il sistema integrine-citoscheletro rappresenterebbe un vero e proprio organello sensitivo per le stimo­lazioni meccaniche. Oltre alle integrine, anche il complesso distrofine-glicoproteine giocherebbe un ruolo importante nella meccanotrasduzione, a livello muscolo-tendineo.
Ligandi extracellulari per le integrine sarebbero rappresentati dai collageni, fibronectina, tenascina e laminina. Molti studi avrebbero dimostrato come l’espressione di molte altre componenti dell’ECM siano legate al livello di stimolazione meccanica. è altresì dimostrato che, dopo esercizio fisico, a livello tendineo, aumenta la produzione di IGF-1, TGF-beta e IL-6, così come la risposta metabolica, quella circolatoria, e il turnover del collageno.
La stimolazione meccanica di tipo cronico, sotto forma di allenamento fisico, comporta un aumentato turnover del collageno, così come anche una sua netta aumentata sintesi. Questi cambiamenti modificano le proprietà meccaniche e viscoelastiche del tessuto, diminuiscono la suscettibilità allo stress, e, forse, lo rendono più resistente alle sollecitazioni di tipo meccanico. La distribuzione microanatomica dei fascicoli collagenici a livello dei tendini varia in funzione del tipo stesso di tendine e addirittura del sesso, così come il grado di attivazione stessa della sintesi del collagene dopo esercizio. Queste recenti acquisizioni nel campo della biologia dei tendini potrebbero contribuire a una migliore comprensione dei danni tissutali da sovraccarico (overuse).
L’ECM, e soprattutto il tessuto connettivo con le sue fibre collagene, connette fra loro i tessuti dell’organismo e gioca un ruolo fondamentale nella trasmissione delle forze, così come nel mantenimento della struttura tissutale di tendini, legamenti, osso e muscolo. Si sa ormai che la trasmissione di forze meccaniche a livello del complesso teno-muscolare dipende dall’integrità strutturale fra le singole fibre muscolari, così come dalla disposizione fibrillare dei tendini, che consentono l’assorbimento e la trasmissione dei carichi sotto sforzo. Inoltre, è stato descritto come la capacità di resistenza della matrice si basi su legami crociati fra le fibrille e le fibre collagene, e sulla loro densità e lunghezza. Tuttavia, il segnale di innesco delle cellule connettivali in risposta a uno stimolo di natura meccanica, così come la successiva espressione e sintesi di specifiche proteine dell’ECM e il meccanismo di accoppiamento alla funzione meccanica propriamente detta, sono ancora oggetto di studio.
Si sa che l’ECM, e soprattutto il collagene, giocano un ruolo fondamentale nell’adattamento del sistema teno-muscolare ai diversi pattern di stimolazione meccanica. L’ECM non è una struttura statica e/o inerte: i tendini ed il tessuto connettivo di cui sono costituiti sono delle strutture alquanto dinamiche, in grado di adattarsi, sia dal punto di vista strutturale che funzionale, a diversi schemi di carico. In altre parole, il tessuto connettivo di muscoli e tendini è una struttura vivente, con modificazioni continue (turnover) delle strutture proteiche e cellulari che lo compongono, in grado di adattarsi a modificazioni anche rilevanti dell’ambiente esterno, sia in condizioni di carico, che in condizioni di inattività o disuso.
La comprensione dei fenomeni e delle risposte cellulari dei tenociti alle stimolazioni meccaniche (in condizioni normali e di sovraccarico), così come degli specifici patterns implicati nella sintesi e degradazione della matrice extracellulare, potrebbe avere sicure implicazioni in campo clinico nell’uomo.

Meccanismi d’azione delle onde d’urto
Le primissime sperimentazioni condotte in vitro, a metà degli anni novanta, per comprendere i meccanismi d’azione delle onde d’urto sui tessuti vitali, sembravano suggerire un potenziale effetto lesivo sulle cellule e i loro costituenti. In realtà, la risposta cellulare sembrerebbe essere variabile, in funzione di diversi parametri: da un semplice aumento della permeabilità cellulare (per le potenze più basse), fino a lesioni del reticolo endoplasmatico e della parete nucleare, oppure a quelle del citoscheletro, con possibilità di rottura cellulare completa, per livelli di potenza ancor più elevati.
Alla luce anche delle più recenti acquisizioni, sembrerebbe pertanto più corretto parlare di una correlazione dose/effetto del microdanno cellulare, ove per dose si intenderebbe non solo la potenza delle onde d’urto applicate, ma anche il numero totale di colpi applicati. Gli studi più recenti, infatti, avrebbero evidenziato come, seppure in un modello sperimentale, le forze di taglio (shear stresses) prodotte dalla stimolazione con onde d’urto e trasmesse al citoscheletro, indurrebbero sì delle modificazioni di quest’ultimo, ma solo temporanee, cioè completamente reversibili nel giro di qualche ora. In altri termini, si perturberebbe solo momentaneamente la struttura tridimensionale della cellula stessa e dei suoi organuli, il tutto finalizzato alla trasmissione di un segnale in grado di tradursi in reazioni biochimiche, e, in ultima analisi, in una risposta tissutale che, come vedremo, si prefigura come tessuto-specifica, e sottosta ai principi ben noti della meccanotrasduzione.
Se ne deduce che, nella pratica clinica quotidiana, ai fini di un trattamento ESWT efficace, la scelta del protocollo da applicare non sia casuale, ma funzione dell’azione biologica che si vorrà evocare; se, infatti, basse-medie energie possono essere sufficienti per sortire un effetto antiflogistico ed antalgico, per le patologie ossee (specie se pseudoartrosi e ritardi di consolidazione di grossi segmenti) sarà invece indicato applicare potenze più elevate. Nel dettaglio, si possono così riassumere i principali meccanismi d’azione delle onde d’urto:


• effetto antiflogistico e antiedemigeno;
• effetto angiogenetico (neoformazione di vasi sanguigni);
• riattivazione dei processi riparativi tessuto-specifici (osso, cute, ecc.);
• effetto analgesico.


Come già menzionato, tali effetti, a differenza di quanto succede per le applicazioni in campo urologico (distruzione meccanica di aggregati inorganici), sono solo in minima parte legati a un meccanismo d’azione diretto o di impatto pressorio sulle strutture biologiche, ma sono piuttosto mediati da alcuni fenomeni fisici, conseguenti al passaggio dell’onda nel tessuto colpito, con possibili fenomeni di cavitazione.
In altri termini, durante la fase negativa dell’onda d’urto, si generano forze di trazione che modificano ulteriormente la struttura del tessuto bersaglio e muovono la transizione gassosa delle molecole d’acqua in bolle di cavitazione, la cui implosione, al ripristino dei valori di pressione positiva, genera onde d’urto sferiche e libera, all’interfaccia con i tessuti, microgetti di vapore detti jet streams, amplificando, di fatto, l’effetto iniziale dell’onda d’urto.
I jet streams, caratterizzati da notevole accelerazione (velocità di molte centinaia di metri/secondo), colpendo i tessuti viciniori possono determinare microlesioni la cui entità è in funzione del numero degli impulsi e della loro energia.
La struttura più sensibile a tali perturbazioni sembrerebbe essere la membrana cellulare (sarebbero sufficienti livelli d’energia pari a 0,2 mJ/mm2 per alterarne la permeabilità). Più resistenti invece sembrerebbero essere citoscheletro, mitocondri e membrana nucleare, per i quali le alterazioni si registrerebbero per valori di energia più elevati.
Trattasi ovviamente di studi sperimentali su sistemi cellulari, isolati dal contesto tissutale; in vivo l’effetto biologico delle onde d’urto è sicuramente da spiegarsi nell’ambito di una risposta articolata e complessa, multicellulare e multifattoriale. Anche ai livelli energetici sopra menzionati, dovrebbero essere attribuiti un valore e un significato “relativi”, per le motivazioni su esposte.
Interessanti studi condotti da ricercatori italiani avrebbero individuato nella molecola di monossido d’azoto (Nitric Oxide o NO), assai instabile e fisiologicamente prodotta in condizioni di stress dalle cosiddette NO-sintetasi, il punto d’innesco principale per molte delle reazioni biologiche ad oggi note. è stato anche dimostrato, in laboratorio, che l’energia sprigionata dai jet streams sarebbe in grado di indurre la produzione di NO, non per via enzimatica, bensì con un meccanismo diretto, per rottura cioè dei legami molecolari. è noto, peraltro, come il monossido d’azoto rappresenti la molecola starter della neoangiogenesi, così come della risposta antinfiammatoria, neuromodulante, citotossica (per le più alte concentrazioni), nonché, probabilmente, di quella im­munitaria. è verosimile pertanto arguire che il monossido d’azoto possa rappresentare il primum movens o, per lo meno, uno dei principali mediatori biochimici dell’azione delle onde d’urto. Secondo quanto proposto da Wang e coll., il meccanismo d’azione delle onde d’urto, a livello dei diversi tessuti, potrebbe essere così schematizzato:


• l’applicazione della stimolazione di tipo fisico (ESWT in tal caso), darebbe origine ad alcune risposte biologiche;
• tali risposte biologiche si tradurrebbero in generale e principalmente nell’attivazione della NO-sintetasi endoteliale (eNOS), con produzione di Vascular Endothelial Growth Factor (VEGF); a loro volta, si attiverebbero fattori di trascrizione nucleare, per dare origine, in ultima analisi, a fenomeni di neovascolarizzazione;
• la neovascolarizzazione, a livello osseo, tendineo e cutaneo, consentendo un miglior apporto sanguigno, sarebbe alla base di tutti i processi di “riparazione e rigenerazione” tissutale, da intendersi nell’accezione più ampia del termine.

Ma non è tutto: oltre a un’azione di tipo “trofico” generale, che sarebbe valida per molti dei tessuti responsivi a tale terapia, è possibile anche ipotizzare un’azione tessuto-specifica, per effetto diretto su ciascun fenotipo cellulare, o, meglio, sui singoli e specifici loro precursori, siano essi osteoblasti (stimolo della risposta osteogenetica in pseudoartrosi e ritardi di consolidazione) o cellule di altra derivazione (vedi per esempio le recenti applicazioni, ancora sperimentali, sulle cellule del miocardio in caso di patologie di tipo ischemico).
Relativamente al trattamento delle patologie tendinee, sia di natura infiammatoria, che cronico-degenerativa, i dati più recenti apparsi in letteratura farebbero intravvedere nuove ed interessanti prospettive terapeutiche, non solo per la risoluzione dei processi di natura flogistica, ma anche per il miglioramento del trofismo cellulare, con possibilità di risposta diretta dei tenociti stessi.
Nel 2004, da Hsu RW. e coll. è stato condotto uno studio per valutare gli effetti della ESWT in una forma sperimentale di tendinopatia del rotuleo (nel coniglio), indotta tramite inoculazione di collagenasi. Le valutazioni sull’efficacia (o meno) del trattamento, a distanza di 4 e 16 settimane rispettivamente, sono state condotte mediante esami istologici, oltre che con test di tipo meccanico e biochimico. I dati riportati dagli autori sembrerebbero confermare l’efficacia del trattamento eseguito, stante l’aumento di precursori dei tenociti a 4 settimane, e di tenociti a un più avanzato grado di maturazione dopo 16 settimane; il tutto associato a fenomeni di neovasco­lariz­zazione. Inoltre, gli autori ipotizzano la possibilità a seguito di trattamento con onde d’urto, di aumentata sintesi di collageno e produzione di crosslinks, almeno nelle fasi iniziali dei processi riparativi. Come sopra già ricordato, la ESWT è impiegata nella pratica clinica quotidiana per la risoluzione di molte patologie tendinee di natura cronico-degenerativa-infiam­­matoria, nonostante i meccanismi di “guarigione” tissutale non siano ancora noti nei dettagli. A tale proposito, in un altro studio, proposto da Chen YJ e coll. (2004) viene riportato il dato, secondo cui un regime ottimale di stimolazione ESWT favorirebbe la riparazione tissutale in forme sperimentali di “tendinite” dell’Achilleo, indotte nel ratto. In particolare, a livello istologico, si osserverebbe, a seguito del trattamento ESWT, una riduzione dell’edema, tumefazione e infiltrato infiammatorio nei tendini interessati dal processo patologico spe­ri­men­talmente indotto. Inoltre, nei siti di lesione tendinea, vengono descritti fenomeni di intensa proliferazione cellulare, neovascolarizzazione, così come progressiva rigenerazione e riparazione tissutale.
I tenociti del tessuto ipertrofico e il tessuto tendineo neoformato esprimono elevati livelli di PCNA (antigeni nucleari cellulari) dopo trattamento ESWT, suggerendo l’ipotesi che questo tipo di stimolazione fisica possa incrementare la risposta mitogenica dei tendini. Inoltre, la proliferazione dei tenociti, associata al tessuto ipetrofico e al tessuto tendineo prodotto ex novo, corrisponderebbero alle aree tissutali di marcata positività per il TGF-beta1 ed IGF-I. L’aumentata espressione del TGF-beta1 coinciderebbe, in condizioni fisiologiche, con le fasi precoci della riparazione tendinea, così come l’elevata espressione dell’IGF-I persisterebbe per tutta la fase del processo riparativo.
In ultima analisi, la terapia con onde d’urto, in tal caso applicata a regimi di bassa energia, sarebbe in grado di favorire la riparazione tissutale tendinea; a loro volta, nella proliferazione cellulare e nella rigenerazione tissutale così indotte, giocherebbero un importante ruolo di mediazione fattori quali il TGF-beta1 e l’IGF-I.
Infine, studi ancor più recenti, condotti a livello cellulare, avrebbero rilevato, da parte dei tenociti, dopo stimolazione con ESWT:


• un effetto transitorio di stimolo sul metabolismo delle strutture tendinee;
• uno stimolo alla proliferazione dei tenociti e la sintesi di collageno.

 

Tali fenomeni sarebbero correlati ad un aumento precoce dell’espressione genica di PCNA e TGF-beta1, così come al rilascio e sintesi di NO endogeno e di proteine collageniche. Altri autori riportano il dato secondo cui l’effetto trofico sarebbe precoce e a breve termine, ipotizzando così che il trattamento ESWT possa costituire semplicemente da “starter” per innescare i processi fisiologici di riparazione a livello dei tendini patologici; l’effetto a lungo termine, per lo meno in questo studio, sembrerebbe di minor rilevanza. Studi ulteriori sarebbero pertanto richiesti per poter determinare il reale significato e potenzialità d’impiego clinico di questa metodica, ai fini della qualità finale tendinea. Nell’uomo, interessanti osservazioni, condotte di recente da M. Branes e coll., su sezioni istologiche di campioni bioptici prelevati da cuffie dei rotatori precedentemente sottoposte a trattamento ESWT, riportano di abbondanti fenomeni di neovascolarizzazione e ipercellularità di tipo connettivale-riparativo, con disposizione casuale, sia in aree tendinosiche che di tessuto sano, e comunque non in relazione a vasi sanguigni preesistenti.
L’ipercellularità associata alla neovascolarizzazione sembrerebbe di origine ematopoietica, in particolare mastcellule e plasmacellule. Da qui l’interessante ipotesi secondo cui, su un tessuto “cronicamente” infiammato, l’effetto delle onde d’urto possa essere quello di indurre una sorta di “flogosi acuta”, in grado di risolvere l’anomala condizione, utilizzando i fisiologici processi ontogenetici di riparazione.
La stessa “scomparsa” di eventuali calcificazioni intratendinee o paratendinee, quale si può talora osservare dopo trattamento ESWT, non sarebbe da imputarsi ad un fenomeno fisico di “rottura” (come succede invece per le concrezioni litiasiche), bensì biochimico, probabilmente legato allo stesso tipo di reazione flogistica acuta, in grado di modificare l’equilibrio acido-base locale. Per descrivere l’effetto analgesico delle onde d’urto, sono state avanzate diverse ipotesi:


• esse sarebbero in grado di modificare l’eccitabilità della membrana cellulare; i nocicettori, non più in grado di generare un potenziale d’azione, ridurrebbero la possibilità di percezione del dolore;
• stimolerebbero i nocicettori a generare un’alta quantità di impulsi nervosi, sì da bloccare la trasmissione del segnale ai centri corticali superiori, innalzando la soglia di percezione del dolore (teoria del Gate Control);
• aumenterebbero il livello dei radicali liberi presenti nell’ambiente cellulare e questi genererebbero sostanze inibitorie del dolore.

 

Sempre nell’ambito dello studio dei meccanismi d’azione, a livello sperimentale, evidenze preliminari in vitro, sembrano suggerire ulteriori interessanti future applicazioni per questa terapia: la possibilità di un effetto sinergico nell’aumentare la citotossicità di chemioterapici su alcune linee di cellule tumorali, così come la possibilità di modificare la produzione di citochine e fattori correlati, da parte di condrociti da osteoartrosi.
Nella pratica clinica quotidiana, le onde d’urto sono generate da apparecchiature dedicate, denominate litotritori, progettati in modo tale per cui l’energia è prodotta da una sorgente (per cui esistono diversi tipi di generatore), e le onde d’urto vengono poi concentrate in un punto, detto “fuoco”, ove l’azione terapeutica è massima. Ai fini terapeutici, il fuoco deve corrispondere all’area bersaglio, sede della patologia. È così possibile intervenire con una precisione quasi “chirurgica” sulle zone da trattare, lasciando inalterate le strutture sane circostanti. In corrispondenza del punto focale, il fronte d’onde d’urto può produrre effetti variabili, in funzione dell’intensità di stimolazione, ovvero dell’energia erogata: da semplici “vibrazioni”, a repentine variazioni di pressione nei liquidi biologici di cui ciascun tessuto è composto. In ogni caso, alle intensità utilizzate a scopo terapeutico (basse, medie o alte energie, in funzione della patologia e del tessuto da trattare), l’effetto delle onde d’urto non è in alcun modo paragonabile, né assimilabile, a quanto succede sui calcoli renali, sia per tipologia sia per intensità di reazione. In virtù di tali acquisizioni scientifiche, da circa un decennio le onde d’urto extacorporee sono utilizzate con successo in campo ortopedico e fisiatrico. Oltre che per stimolare l’osteogenesi riparativa nelle pseudoartrosi e nei ritardi di consolidazione, sono impiegate anche e soprattutto per la cura di patologie tendinee di diversa origine e gravità (tendinopatie cronico–degenerative, peritendiniti ed entesopatie), specie se refrattarie ai comuni trattamenti farmacologici e/o fisioterapici e/o infiltrativi locali. Talora assumono il ruolo di “ultima ratio”, prima di lasciare il campo all’intervento chirurgico. Peraltro, nella pratica medica quotidiana, è sempre più frequente l’utilizzo delle onde d’urto anche quale terapia di supporto alla chirurgia, come nei casi di flogosi e/o dolore residuo persistente.
Il razionale di quanto sopra esposto è da ricercarsi, oltre che nell’ormai ben nota e comprovata azione antinfiammatoria e antiedemigena delle onde d’urto, anche in un effetto trofico tissutale di più recente acquisizione, sia generale (stimolo dell’angiogenesi alla giunzione osteo–tendinea), sia specifico (per un effetto diretto di stimolo metabolico-proliferativo sulle cellule tendinee stesse). Sulla base di questi dati scientifici, a buon diritto sembrerebbe potersi attribuire alle onde d’urto anche nel settore delle patologie tendinee, non un semplice effetto palliativo-antalgico, bensì una vera e propria azione terapeutica.
In altri termini, l’applicazione delle onde d’urto, per i relativamente pochi minuti di trattamento (tempo variabile in funzione del tipo di apparecchiatura utilizzata e del protocollo terapeutico), serve fondamentalmente per innescare una serie di reazioni biologiche tissutali, che porteranno alla risoluzione dei fenomeni flogistici locali e ad un auspicabile effetto trofico nelle settimane a seguire. Sulla scorta delle ricerche cliniche e di base, è stato anche introdotto il termine di “biosurgery”, in altre parole la possibilità di ottenere, in alcuni casi, un effetto biologico positivo (trofico), simile a quello che si potrebbe conseguire con un intervento chirurgico, ma con l’indubbio vantaggio di poter contare su una metodica non invasiva e pressoché priva di complicanze e di effetti collaterali rilevanti e duraturi.

Caratteristiche del trattamento
I protocolli standard di terapia per le patologie dei cosiddetti “tessuti molli” (tendini, legamenti e strutture correlate) prevedono mediamente un numero variabile di applicazioni. In genere sono 3 o 4 in totale, a bassa-media energia, preferibilmente con cadenza settimanale. Al termine di ciascun ciclo di ESWT (ripetibile, se necessario) è consigliabile attendere ancora alcune settimane, per poter correttamente valutare i risultati della terapia.
Il trattamento con onde d’urto è generalmente ben tollerato. Eventuali riscontri discordanti nella pratica clinica quotidiana potrebbero essere attribuiti a una fisiologica variabilità della soglia del dolore nei diversi pazienti in trattamento, al tipo di protocollo terapeutico richiesto, al diverso tipo di apparecchiatura utilizzata ed alla diversa esperienza dell’operatore. Talvolta, per i trattamenti a maggiore energia (in genere per le patologie dell’osso) può essere indicato eseguire un’anestesia locale o una blanda sedazione. Le probabilità di successo del trattamento ESWT in corso di patologie tendinee, proprio come per tutte le altre terapie e per gli interventi chirurgici, sono direttamente correlate a una precisa indicazione diagnostica. I pazienti vanno pertanto selezionati e candidati al trattamento in funzione della patologia, delle eventuali controindicazioni e dell’effettiva necessità del trattamento. Da non trascurarsi, ovviamente, la possibilità di un effetto sinergico, in combinazione con altre terapie (di tipo fisioterapico-riabilitativo), specie se necessario il recupero dell’escursione articolare. La letteratura è ormai ricca di pubblicazioni sull’argomento, a volte però con risultati discordanti tra loro. I motivi di una certa disparità di risultati possono essere attribuiti a svariate cause: la diversità dei parametri della fonte energetica e dei protocolli terapeutici, la difficoltà talora ad obiettivare i risultati, e la possibile eterogenicità dei casi clinici esaminati.
In generale, il risultato della ESWT può essere influenzato positivamente:


• dall’esperienza del medico;
• dall’impiego di un’apparecchiatura adeguata;
• dal corretto inserimento delle onde d’urto nel contesto di un adeguato “iter” terapeutico.

 

II risultato può essere influenzato invece negativamente:


• quando i criteri di esclusione su cui esiste un generale consenso non sono applicati;
• da concomitanti patologie ortopediche;
• da concomitanti patologie non ortopediche;
• dal grado di cronicità della patologia.



Nelle Linee Guida promulgate dalla Società Italiana Terapia Onde d’urto (SITOD) (per i cui dettagli si rimanda alla consultazione del sito web: www.sitod.it), viene data indicazione a questa terapia nelle seguenti patologie:


• Pseudoartrosi/mancato consolidamento di frattura
• Tendinopatia calcifica di spalla
• Tendinopatie inserzionali croniche
• Fascite plantare (con/senza sperone osseo)
• Osteonecrosi
• Distrofie ossee simpatico-riflesse

In un recente documento promulgato dall’International Society of Medical Shockwave Treatment (ISMST) (consultabile sul sito web: www.ismst.com), le indicazioni terapeutiche al trattamento ESWT per le patologie tendinee già approvate sulla base di studi clinici, sono considerate le seguenti:


• Fascite plantare con/senza sperone osseo
• Tendinopatie Achilleo
• Epicondilite (“gomito del tennista”)
• Tendinopatia cuffia rotatori (con/senza calcificazione/i)
• Tendinopatia rotulea
• Entesopatia trocanterica (Sindrome del Grande Trocantere)

Gli effetti collaterali, se il trattamento ESWT è correttamente applicato secondo i criteri delle linee guida e delle specifiche tecniche (diverse per ciascun tipo di apparecchiatura utilizzata), sono da considerarsi di lieve entità, non frequenti e comunque transitori. Sono comunemente descritti:


• edema ed arrossamento nella zona di trattamento;
• ecchimosi e rotture capillari;
• dolore locale durante la terapia;
• riacutizzazione temporanea della sintomatologia dolorosa nelle ore/giorni successivi al trattamento.

Controindicazioni
Classicamente, sono da considerarsi controindicazioni alla terapia con onde d’urto le seguenti condizioni:


• Presenza di cartilagini di accrescimento ancora fertili in prossimità dell’area anatomica da trattare
• Emofilia
• Gravidanza
• Presenza di apparecchi di stimolazione cardiaca e midollare
• Neoplasie in corrispondenza della sede anatomica da trattare
• Infezioni acute
• Vicinanza di strutture anatomiche a rischio di lesione (polmone, organi cavi, encefalo, grossi vasi e tronchi nervosi)
• Terapia anticoagulante


Conclusioni
Le onde d’urto extracorporee rappresentano oggi una valida risorsa terapeutica nel trattamento di numerose patologie dell’apparato muscolo scheletrico.
La ricerca di base evidenzia la complessità dei loro meccanismi d’azione che, sebbene ancora in parte da chiarire, sembrerebbe comportare l’attivazione dei processi metabolici regolatori dell’espressione genica, delle sintesi proteiche e dei fattori di crescita cellulari, impegnando i meccanismi della trasmissione e decodificazione dell’impulso esogeno (meccanotrasduzione).
L’attivazione della neoangiogenesi e i molteplici effetti indotti dalla produzione del monossido d’azoto (NO) rappresenterebbero uno dei meccanismi chiave dell’effetto terapeutico delle onde d’urto nei differenti tessuti dell’organismo. Pur ancora in via di diffusione in Italia, tale metodica è sempre più utilizzata, non solo ai fini della riduzione della flogosi e del dolore, ma anche per stimolare i fisiologici processi trofici di “riparazione” tissutale, nell’accezione più ampia del termine. In generale quindi, le onde d’urto, pur non potendo essere considerate una miracolosa panacea, adatta a chiunque ed applicabile in qualsiasi patologia, possono veramente rappresentare una valida soluzione per molte patologie tendinee, acute e croniche. Il loro impiego va comunque sempre valutato caso per caso, sulla base di una diagnosi appropriata e affidato a uno specialista della materia.
In mani esperte e in presenza di una corretta indicazione terapeutica, possono rappresentare in alcuni casi una valida alternativa all’intervento chirurgico. Ad oggi, non sono stati riportati in letteratura effetti iatrogeni o lesivi, legati all’applicazione di onde d’urto nelle patologie tendinee. Alla non-invasività della metodica (in quanto tale, considerata “biologica”), si aggiunga anche l’indubbio vantaggio rappresentato dal numero relativamente limitato di sedute richiesto per ottenere l’effetto terapeutico. Nell’ambito specifico delle patologie tendinee, studi futuri potranno precisare l’esatto ruolo di tale risorsa terapeutica, a indicare la possibilità di indurre delle modificazioni tissutali in senso curativo, simili a quelle ottenibili con un intervento chirurgico, ma con modalità biologica e non invasiva (biosurgery), stante la possibilità di modificare in senso positivo il metabolismo tissutale, con azione diretta sulle cellule stesse.

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