introduzione
Ferdinando Priano


Psicologia e protesi di ginocchio
F. Priano, E. Abello, F. Grilli



Attualità nella terapia sostitutiva articolare


Una “nuova patologia” dell’articolazione coxo-femorale nello sport: l’impingement
femoro-acetabolare (fai)

C. Faletti, M. Stratta


La viscosupplementazione confrontata con il metilprednisolone
nel trattamento delle condropatie del ginocchio: studio
prospettico randomizzato

P. F. Indelli, A. Lumini


5° European Sport
Medicine Congress di Praga
Nuove opzioni terapeutiche nel trattamento delle lesioni tendinee, legamentose
e dell’osteoartrosi negli sportivi

A cura della Redazione

 

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Anno 8 - Numero 1 - 2008
IL MEDICO SPORTIVO
Periodico di aggiornamento scientifico e
professionale

Psicologia e protesi di ginocchio
F. Priano, E. Abello, F. Grilli

L’artroprotesi di ginocchio costituisce una realtà nella pratica clinica da circa 25 anni, tanto da rappresentare oggi una certezza come la protesi d’anca.
Infatti, la sopravvivenza delle protesi di ginocchio a 15-20 anni, per circa il 90% degli impianti, costituisce oggi un dato obiettivamente incoraggiante.
Attualmente vengono impiantate negli Stati Uniti più di 200.000 protesi di ginocchio e circa 20.000 vengono riprotesizzate.
Il goal di questo tipo di trattamento chirurgico è senza dubbio dovuto alla precisione di indicazione chirurgica, alla scelta del tipo di protesi idonea e alla corretta esecuzione dell’intervento.
L’evoluzione dei materiali (polietilene ) e del design protesico (superfici mobili) hanno portato, insieme all’esperienza del chirurgo, a migliori risultati e pertanto hanno incentivato certamente l’indicazione chirurgica all’intervento di protesi di ginocchio.
Tuttavia esiste un aspetto di grande importanza nella buona riuscita di tutti gli interventi in chirurgia di elezione, ossia l’equilibrio delicato fra risultati ed aspettative del paziente.
Ogni intervento di chirurgia sostitutiva protesica andrebbe individualmente programmato e preparato, affinché il paziente possa conoscere realmente le proprie aspettative per il periodo post-operatorio della rieducazione.
È stato dimostrato da Hoermann et al. che l’83% dei pazienti sottoposti ad intervento di protesi di ginocchio preferirebbe essere preparato all’intervento dal chirurgo stesso ed in particolare il 75% di questo gruppo tramite una semplice conversazione. Questi pazienti hanno dimostrato essere più interessati alle informazioni riguardanti l’operazione ed il post-intervento ( 43,3% ), piuttosto che ai rischi ( 33,3% ). Solamente l’11,7% sarebbe desideroso di aver una preparazione psicologica da uno specialista.
Secondo lo studio di Daltroy et al., una preparazione psicologica specialistica preoperatoria rinforza i risultati dell’intervento di protesi di ginocchio.
Non sempre esiste una correlazione positiva fra entità del quadro clinico e danno accertato radiologicamente; infatti fra i pazienti che si rivolgono al chirurgo, in quanto affetti da artrosi con un quadro clinico di discreta o notevole consistenza, il 17% mostra un quadro radiologico di scarsa entità, il 61% di media entità e solo il 22% di grave entità, che si riscontra generalmente nei soggetti di età più avanzata.
Questo rende la dimensione del problema, ossia di quanto possa essere problematico “proporre” un intervento di protesi di ginocchio ad un paziente che spesso e volentieri non lo aspetta.
La personalità del paziente affetto da gonartrosi o da esiti di fallimento di artroprotesi di ginocchio rappresenta un fattore importante nella probabilità di successo dell’intervento chirurgico.
Una personalità matura è infatti in grado di agevolare non solo il processo psicologico della guarigione ma, probabilmente, anche quello fisico.
La richiesta di una sempre migliore qualità della vita è certamente crescente anche nella terza età, tanto che, l’aumento della età media e la sempre crescente richiesta di svolgere attività fisica oltre a quella quotidianamente necessaria, impongono al chirurgo di garantire risultati sempre migliori.
Il grado di istruzione certamente più elevato, il miglior tenore di vita medio, le modificazioni culturali ed una miglior diffusione dell’informazione, sono tutti elementi che stanno radicalmente modificando il rapporto medico-paziente.
A volte questi aspetti sono associati ad un atteggiamento comune, spesso ingiustamente ipercritico, del paziente nei confronti della sanità italiana, che potrebbe essere derivato dai media, oppure dalla scarsa considerazione in cui sono stati storicamente tenuti gli aspetti accessori del ricovero ospedaliero, quali quello dell’accoglienza, della qualità alberghiera del servizio e della scarsità dei materiali medici di assistenza.
Per tutte queste ragioni il paziente oggi ricerca, nella scelta dell’equipe o del singolo medico, la figura che meglio si propone a soddisfare queste sicurezze psicologiche, sempre nella ricerca dell’ottimizzazione dell’iter terapeutico che gli garantirà un buon risultato chirurgico.
Attualmente, inoltre, la preparazione psicologica non può prescindere da un approccio multidisciplinare al paziente, a cui non basta più la “passata” figura del medico di base.
La patologia degenerativa si accompagna certamente per definizione spesso a problemi di natura internistica (sindrome da immobilizzazione con alterazioni cardiovascolari, polmonari, muscolari, renali, cutanee ecc.) risolvibili ormai solo con l’intervento di più specialisti.
Tutto questo completa sicuramente la qualità dell’assistenza medica, ma può talvolta trarre in inganno il paziente anziano, che assiste ad un succedersi, per lui talvolta incomprensibile, di visite, indagini strumentali approfondite, terapie ecc., che possono essere fonte di ansia già nella fase preoperatoria.
È condizione essenziale, dunque, che questa corretta collaborazione specialistica sia adeguatamente coordinata al fine di coinvolgere il paziente nella valutazione e nella scelta dei rischi e dei benefici relativi al tipo di trattamento chirurgico.
Non ultima la collaborazione fra chirurgo e terapista della riabilitazione è in grado di trasmettere al paziente, oltreché una completezza di valutazione del proprio caso, anche la volontà di “non abbandono” nella fase post-operatoria oggi sempre più importante, momento in cui è importante anche solo far distinguere la differenza fra il dolore conseguente all’atto chirurgico ed il normale disagio associato al recupero funzionale.

Il consenso
Il consenso all’atto medico terapeutico si fonda su alcune fasi cardinali, che sono l’informazione, la comprensione, la libertà e la capacità di intendere e volere. Esso è diventato “informato” più recentemente, poiché ora prevede non soltanto più un generico consenso all’esecuzione del trattamento sanitario, ma anche un vero e proprio processo informativo per il paziente.
Questa informazione deve essere quanto più dettagliata possibile ed esaustiva in tutti i suoi punti, circa la patologia in atto (diagnosticata o in corso di determinazione), sul o sui tipi di trattamento possibili, sullo stato dell’arte delle tecniche mediche e chirurgiche, sui rischi e sulle complicanze possibili e sulla evoluzione clinica.
Certamente questo rapporto deve essere qualitativamente modulato al livello intellettuale dell’interlocutore, affinché sia il più lontano possibile dal “terrorismo psicologico informativo”.
La Carta Costituzionale, tutelando il diritto alla salute ed il libero esercizio dello stesso, dispone l’obbligo di ottenere il consenso del paziente per l’effettuazione di un qualsiasi trattamento medico. Il cattivo rapporto comunicativo fra medico e paziente è spesso oggi responsabile del ricorso a procedimenti giuridici nei confronti del medico stesso, per cui argomento sempre di grande attualità e spesso motivo di dibattito.
È necessario che il personale medico riesca a dimostrare di avere adeguatamente informato il paziente sulla natura della patologia e sulle procedure diagnostiche e terapeutiche adeguate da attuare, sempre nel rispetto degli artt. 13 e 32 comma 2 della Costituzione secondo cui “nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge”.
“Prima che si instauri il cosiddetto contatto sociale, come fonte obbligazionario tra medico e paziente, è necessario che entrambe le parti sappiano quale sia il fine della prestazione che andranno a pattuire e per farlo l’operatore deve erudire il creditore della prestazione circa la sua situazione clinica, le prospettive, le probabilità di successo, i rischi e le alternative fornendogli un’informazione completa, in grado di metterlo nelle condizioni di poter decidere, secondo piena coscienza, se sottoporsi o meno alla pratica medica consigliata”. Questo è testualmente riportato nella responsabilità medica secondo il diritto vigente.
I requisiti del contratto (art. 1325 c.c.) devono far considerare le figure del medico e del malato come soggetti di uguale responsabilità, ambedue consapevoli della reciprocità di diritti e doveri.
“Il contratto è concluso nel momento in cui chi ha fatto la proposta ha conoscenza dell’accettazione dell’altra parte” (art. 1326 c.c.).
Il consenso del paziente costituisce inoltre un elemento essenziale del contratto d’opera professionale che regola i rapporti tra il paziente ed il medico. In questo senso l’obbligo di informazione assume importanza nella fase precontrattuale, fase in cui si forma il consenso al trattamento sanitario e in cui si rileva il dovere per i contraenti di comportarsi secondo buona fede (art.1337 del c.c.).
Il medico ha pertanto l’obbligo di informare compiutamente e con chiarezza il proprio cliente delle caratteristiche dell’opera che deve compiere, al fine di porlo in grado di decidere se sottoporsi o meno al trattamento proposto.
L’obbligazione del medico proponente (art. 1333 c.c.) va limitata al suo comportamento, poiché egli non si può ritenere responsabile dei risultati che sono legati alle variazioni biologiche ed ai rischiosi progressi delle moderne tecniche chirurgiche.
Poiché la mancata assunzione del consenso può dar luogo ad un’autonoma fonte di responsabilità per il professionista pur in presenza di un intervento svolto in maniera corretta e diligente, la compilazione di un valido consenso tutela in primo luogo gli interessi del medico stesso.
Per questi presupposti il consenso deve essere adattato all’attività concretamente svolta dal medico ed alle caratteristiche del singolo paziente.
Il modulo del consenso informato fa parte proprio della documentazione clinica del paziente e pertanto, in caso di contestazioni relative al corretto svolgimento della prestazione compiuta, costituisce un elemento di valutazione della sussistenza o meno della responsabilità professionale del medico.

I requisiti essenziali del consenso informato devono necessariamente essere:
La causa: essa è il raggiungimento delle migliori condizioni di salute del paziente. L’art. 1343 recita: “La causa è illecita quando è contraria a norme imperative, all’ordine pubblico o al buon costume”.
• L’oggetto: secondo l’art. 1346, l’oggetto deve essere possibile, determinato o determinabile.
In rapporto alla menomazione si devono distinguere tre diversi livelli prognostici:
- quoad vitam, che esprime un vero stato di necessità e che, secondo l’art.54 c.p. richiede un intervento immediato derivante da un consenso presunto, dato che la sopravvivenza è un diritto assoluto e non disponibile.
- quoad functionem, in cui l’obiettivo terapeutico è quello di ottenere il miglior risultato funzionale che la patologia consenta.
- quoad valitudinem, che indica l’obiettivo di ottenere una condizione morfologica e funzionale sovrapponibile a quella precedente la patologia.
La forma: “gli atti devono farsi per atto pubblico o per scrittura privata, sotto pena di nullità” (art. 1350 c.c.).

Lo S.N.A.M.I. ( Sindacato Nazionale Autonomo Medici Italiani ) e l’U.O. di Ortopedia e Traumatologia di Lugo di Romagna ritengono che un valido modello di consenso informato debba assolutamente contenere le seguenti informazioni:
Generalità del paziente
Patologia accertata, che deve essere descritta con chiarezza. Nel caso in cui la diagnosi non fosse stata ancora accertata con definitiva chiarezza, è utile spiegare i sintomi accusati dal paziente ed i motivi per cui si rende utile quel tipo di trattamento ed il perché lo si preferisce ad altri.
Alternative terapeutiche. Per ognuna di queste vanno dettagliatamente chiariti i rischi egli effetti sfavorevoli.
• Terapie da effettuare prima dell’intervento chirurgico, indicandone i benefici e gli effetti indesiderati.
Eventuali interventi di altro tipo che potrebbero rendersi necessari nel corso del’intervento prestabilito. Spesso accade di constatare intraoperatoriamente che le condizioni del bone stock sono scadenti, tanto da decidere di impiegare la cementazione come tecnica chirurgica di fissaggio della protesi all’osso. L’informazione divulgativa spesso poco precisa fornita al paziente da personale non qualificato, ha nel corso di questi anni “demonizzato” l’impiego del cemento. Pertanto è utile informare il malato adeguatamente prima dell’intervento su questa eventualità
Complicanze, che si possono verificare in corso di intervento, distinguibili in possibili e probabili;
Effetti indesiderati che possono verificarsi dopo il trattamento chirurgico.
Le patologie che più frequentemente possono complicare un intervento di protesi di ginocchio sono la trombosi venosa profonda e l’embolia polmonare. L’impiego della compressione vascolare a laccio non da tutti i chirurghi utilizzata consente certamente grandi benefici in termini di pulizia del campo operatorio, di visibilità migliore per il chirurgo, di buona qualità dell’eventuale cementazione ecc., ma certamente non è scevra di rischi.
Nei pazienti che presentano importanti insufficienze agli arti inferiori ed in cui una buona valutazione vascolare specialistica non ha controindicato l’intervento di protesi di ginocchio, rimane sempre il rischio di questo tipo di complicanze intraoperatoria e talvolta tipiche dell’immediato postoperatorio e spesso clinicamente silenti.
Le complicanze successive all’intervento, che tardivamente possono presentarsi e che spesso possono essere espressione di un malposizionamento della protesi, come lo scollamento asettico precoce, il loosening e l’osteolisi sono evenienze che il paziente deve conoscere, così come una possibile, ma fortunatamente non frequente, iperreazione macrofagica individuale responsabile di una massiva risposta dell’organismo alla malattia da detriti.
Il paziente, infatti, prima dell’intervento chiede quali sono i motivi del “rigetto” della protesi e costituisce un dovere del chirurgo fornire tutte queste spiegazioni sulle cause della durata limitata nel tempo di qualsiasi tipo di impianto.
La complicanza, fortunatamente infrequente (1-2%), meno tollerata dal paziente è sempre l’infezione. Non è facile convincere il paziente che la contaminazione non sempre dipende dal chirurgo o dalla sala operatoria, ma che le infezioni spesso arrivano per via ematogena. Non avendo dati dimostrabili con certezza che possano escludere in questa eventualità sfortunata la responsabilità del medico, spesso il paziente fa ricorso a procedimenti giudiziari, soprattutto se non è stato prima adeguatamente informato.
• Trattamento da effettuare dopo intervento chirurgico,ossia il tipo di riabilitazione ed il trattamento farmacologico. Una riabilitazione non adeguata e un comportamento del paziente diverso dai consigli a lui dati possono inficiare la qualità del risultato fino addirittura ad accorciare il tempo di sopravvivenza a lungo termine di una protesi di ginocchio. Il recupero del range di movimento sia in estensione che in flessione compatibile con una protesi di ginocchio dipende molto anche dalle scelte riabilitative.
• Il paziente dovrà dichiarare di: essere pienamente cosciente; aver letto attentamente il documento; aver ricevuto dal medico proponente le spiegazioni richieste; aver compreso il contenuto; autorizzare l’equipe sanitaria ad effettuare il trattamento; autorizzare gli eventuali interventi alternativi previsti.
Firma di medico, paziente e data.

È di grande importanza non trascurare le variazioni al programma chirurgico che si possono trovare “in corso d’opera”.
Nel caso di impedimento fisico che renda impossibile la sottoscrizione da parte del paziente, il testimone dovrà dichiarare, sotto la propria responsabilità, che il paziente ha prestato il consenso al trattamento.
Nel caso in cui il paziente si trovi i stato di momentanea incoscienza , e fuori dai casi di ricorrenza dello stato di necessità, il medico dovrà attendere che egli riprenda coscienza per chiedere il consenso al trattamento. Non risulta corretto chiedere consenso ai familiari, poiché si tratta di un atto del tutto personale.
Da tutto questo si evince quanto la cartella clinica costituisca un vero e proprio atto pubblico, tanto da far fede sino addirittura alla querela di falso.
In conclusione possiamo dire che l’informazione deve assolutamente essere esaustiva e completa il più possibile. Oggi è sempre più frequente ricondurre confinare questo aspetto solo alla banale compilazione e firma di un modulo, spesso insufficiente per fornire nei dettagli tutte queste informazioni.
Non si può pensare che un foglio prestampato possa manlevare il medico da tutto ciò che di negativo può derivare dall’atto terapeutico garantendo l’impunità.
Infatti, se il trattamento chirurgico provoca un danno al paziente, anche in assenza di colpe professionali e se l’informazione non è stata esaustiva, approfondita e personalizzata al caso si può essere facilmente incolpati.
Il consiglio è quello di dedicare prima dell’intervento un tempo sufficiente a ciò che potrebbe ritorcersi proprio contro la nostra figura e che potrebbe essere motivo di spiacevole fuga di un tempo assai maggiore... in una evenienza sfortunata.

Bibiliografia
1. “Aspetti bioetica: valutazione del rischio e significato della sopravvivenza e del recupero funzionale nella terza età”. L.Orsi. Lo Scalpello IX: 91-96,1995
2. “Diritti e doveri nel consenso informato in una società multietnica”. L.Perugia, G.Martini, D.Perugia. G.I.O.T. 2001;27:191-194
3. “Principles of bioethics”. Beautchamp T.L., Childress J.F. Oxford University Press, Oxford, 1979. 4°ed. 1994
4. “Do preoperative anxiety and depression affect quality of recovery and length of stay after hip or knee arhtroplasty?“. Brull R, McCartney, Chan VW. Can J Anaesth. 2002 Jan; 49(1):109
5. “Preoperative education for total hip and knee replacement patients”. Daltroy LH, Morlino CI, Eaton HM, Poss R, Liang MH. Multipurpose Arthritis and Musculoskeletal and Skin Disease Center, Harvard Medical School, USA. Arthritis Care Res 1998 Dec;11(6):469-78
6. “Patients’ expectations of knee surgery”. Mancuso CA, Sculco TP, Wickiewicz TL, Jones EC, Robbins L, Warren RF, Williams-Russo P. J Bone Joint Surg Am 2001 Jul;83-A(7):1005-12
7. “Patient satisfaction compared with general health and diseae-specific questionnaires in knee arthroplasty patients”. Robertsson O., Dunbar MJ. J. Arthroplasty 2001 Jun;16(4):476-82.
8. “Pre-and postoperative information needs”. Lithner M., Zilling T. Patient Educ Couns. 2000 Apr;40(1):29-37.
9. “Obtaining informed consent for clinical pain research: patients’ concerns and information needs”. Casarett D.,Karlawish J, Sankar P., Hirschman KB, Asch DA. Pain 2001 May;92(1-2)71-9
10. “Psychological aspectsof hip or knee arthroplsty”. Pacault-Legendre V. Soins Chir.1985 Nov;(57):38-8.

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