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Anno 10 - Numero 2 - 2010
IL MEDICO SPORTIVO
Periodico di aggiornamento scientifico e
professionale


Functional Outcome
Come migliorare il risultato funzionale
in traumatologia ortopedica e sportiva

Il 10 e 11 aprile scorsi si è svolta a Bologna la XIX edizione del Congresso Internazionale di Riabilitazione Sportiva e Traumatologia, evento annuale organizzato dal Gruppo medico Isokinetic. Tema del congresso è stato: “Funcional outcome: come migliorare il risultato funzionale in traumatologia ortopedica e sportiva”.
“Functional Oucome” è un termine molto utilizzato dalla letteratura anglosassone e si può tradurre sinteticamente come “il risultato funzionale di un processo di cura”. L’Organizzazione Mondiale della Sanità nel 2001, ha proposto un modello per descrivere il risultato funzionale dei percorsi di cura e più in generale dello stato di salute, e lo ha chiamato International Classification of Functioning, Disability and Health (ICF) stimolando così tutti gli operatori sanitari a raggiungere una qualità di risultati funzionali sempre maggiori che non si limitino a migliorare le condizioni fisiche dei pazienti, ma che puntino a superare le loro limitazioni nella vita sociale. Il cambiamento delle condizioni fisiche del paziente, dal momento della diagnosi a quello della dimissione, dipende dalla combinazione dei diversi fattori che lo influenzano: le terapie conservative, le soluzioni chirurgiche e le tecniche riabilitative. Gli effetti di queste terapie possono e devono essere misurati, poiché ragionare in termini di “risultato atteso misurabile”, spinge le organizzazioni sanitarie ad alzare la soglia di attenzione, migliorando così la qualità delle decisioni terapeutiche.
Un approccio simile aumenta la consapevolezza del medico e lo stimola ad utilizzare schede di valutazione e strumenti di misura per confrontarsi con la reale efficacia del suo intervento e di quello dei suoi colleghi e collaboratori, spostando più in alto le ambizioni delle cure, per offrire ad ogni paziente il massimo recupero funzionale possibile.
Questi argomenti sono stati sviluppati nelle otto sessioni principali del congresso e nelle numerose sessioni di comunicazioni orali e poster alle quali hanno partecipato circa 1300 tra medici dello sport, ortopedici, fisiatri, fisioterapisti e laureati in scienze motorie.

Roi GS
Gruppo Medico Isokinetic, Education & Research Department, Bologna, Italia

I protocolli riabilitativi functional oriented

Della Villa S, Ricci M
Gruppo Medico Isokinetic, Bologna, Italia

La riabilitazione “functional oriented”, ossia finalizzata al recupero della funzione, implementa da alcuni anni a questa parte i trattamenti che mirano prevalentemente alla risoluzione della sintomatologia.
Lo scopo di recenti studi scientifici è stato quello di introdurre l’importanza di protocolli “functional oriented”: non sono protocolli terapeutici standardizzati, ma protocolli personalizzati che vengono impostati dopo un’attenta valutazione clinica e funzionale del paziente e che tengono conto delle caratteristiche del paziente stesso, del tipo di lesione, del livello di attività sportiva e delle esigenze, ovviamente variabili da caso a caso(1, 3).
Durante il suo percorso di cura il paziente si confronta con diverse figure professionali, dal chirurgo ortopedico al medico dello sport e al fisiatra, dal fisioterapista al preparatore atletico, che insieme concorrono al miglioramento del risultato funzionale. Coordinamento e utilizzo di un linguaggio comune sono le priorità assolute del team di cura(1). Nel processo che porterà al recupero della funzione è di fondamentale importanza la motivazione del paziente, che deve collaborare con il team dando il massimo di sé durante ogni seduta di riabilitazione, pa­ziente che da semplice oggetto delle terapie diviene dunque soggetto proattivo e attore della sua guarigione.

Le 5 fasi del percorso riabilitativo
Il percorso riabilitativo inizia il più presto possibile e viene eseguito in ambienti idonei quali la palestra, la piscina e il campo sportivo sotto la supervisione di personale specializzato.
Il ciclo riabilitativo, indipendentemente dalla patologia e dal distretto anatomico coinvolti, prevede il succedersi di 5 fasi, ciascuna caratterizzata dal raggiungimento di obiettivi funzionali e clinici:


Fase 1: risoluzione del gonfiore,
del dolore e dell’infiammazione
Fase 2: recupero dell’articolarità
e della flessibilità
Fase 3: recupero della forza e
della resistenza muscolare
Fase 4: recupero della coordinazione
e della propriocettività
Fase 5: recupero del gesto tecnico
e ritorno allo sport

Il passaggio da una fase all’altra è concesso quando gli obiettivi di ciascuna fase sono stati raggiunti senza la comparsa di dolore, gonfiore e idrartro.

La sicurezza del programma riabilitativo è assicurata da un protocollo basato su criteri clinici e funzionali e non tanto su tempi di recupero predefiniti(2).

Risultati
Negli ultimi anni abbiamo studiato questo tipo di protocollo su un gruppo di 50 calciatori, di età media pari a 23 anni, sottoposti a ricostruzione del legamento crociato anteriore da parte di 35 chirurghi diversi e rieducati presso i nostri centri.
Abbiamo calcolato i tempi medi per raggiungere i parametri clinico funzionali da noi presi in considerazione. I risultati sono riportati nella tabella. Inoltre abbiamo valutato il miglioramento soggettivo dei singoli pazienti attraverso la scala KOS-SAS tra la prima e l’ultima seduta della quinta fase, effettuata sul campo sportivo, prima del rientro agonistico: il valore medio è passato da 79 a 96 (P<0.001).

Conclusioni
I valori riportati in tabella sono indicativi del tempo medio per raggiungere gli obiettivi clinici e funzionali e rappresentano un riferimento utile per i colleghi.
Ciononostante esiste una variabilità inter-individuale tra i vari pazienti in risposta agli stimoli e ai carichi riabilitativi somministrati. La riabilitazione functional oriented tiene conto dell’unicità del pa­ziente adattandosi di volta in volta alle sue condizioni cliniche che sono in continua evoluzione. ■

Bibliografia
1. Hambly K, Bobic V, Wondrasch B, Van Assche D, Marlovits S. Autologus chondrocyte implan­tation postoperative care and rehabilitation. Am J Sports Med 2006; 34: 1020-1038
2. Kvist J. Rehabilitation following anterior cruciate ligament injury: current recommendations for sports participation. Sport Med 2004; 34: 269-280
3. Reynold MM, Wilk KE, Macrina LC, Dugas JR, Cain EL. Current concepts in the rehabilitation following articular cartilage repair procedures in the knee. J Orthop Sports Phys Ther 2006; 36:

Re-injuries prevention

Roi GS
Gruppo Medico Isokinetic, Education & Research Department, Bologna, Italia

Quando parliamo di re-infortunio, siamo portati a cercare quale possa esserne stata la causa. In questo tendiamo ad identificare una ed una sola causa, adottando una semplificazione basata sulla nota relazione causa-effetto. Ad esempio molti sostengono che un fattore di rischio per gli infortuni muscolari da trauma indiretto sia un insufficiente riscaldamento pre esercizio, altri che la causa sia un eccessivo affaticamento, oppure un deficit di estensibilità muscolare. In realtà tutti gli infortuni da trauma indiretto hanno eziologia multifattoriale e quindi la prevenzione, per essere efficace, deve tener conto della complessità insita nei fenomeni biologici. La moderna prevenzione del re-infortunio si basa sul superamento della logica semplicistica causa-effetto, che deriva da un’analisi superficiale di una relazione tra due variabili, che si suppone essere lineare. Tale logica è supportata da una visione riduzionistica(2), basata su analisi statiche e semplicistiche, che non tengono conto non solo della complessità, ma anche della dinamicità dei fenomeni biologici, che sono tra l’altro regolati da delicati meccanismi di feedback. Il superamento della visione riduzionistica nella prevenzione dei re-infortuni può essere operato chiarendo alcuni concetti che costituiscono il fondamento della moderna medicina. In questa comunicazione tratterò brevemente dei concetti di salute, di guarigione e di ri-allenamento per arrivare alle problematiche etiche che accompagnano la prevenzione del re-infortunio.

La salute
Una efficace prevenzione degli infortuni deve partire dalla defonizione di salute proposta dall’Organizzazione Mondiale della Sanità: “stato di completo benessere fisico, psichico e sociale e non semplice assenza di malattia o infermità”. Adottando questa definizione, il percorso terapeutico post infortunio non deve limitarsi alla cosiddetta restituito ad integrum del distretto colpito, ma deve considerare anche gli aspetti psichici e sociali, cosa che aumenta la complessità del sistema.
è importante osservare che esistono cinque indicatori dello stato di salute: 1) resistenza organica (cardiorespiratoria), 2) forza muscolare, 3) resistenza muscolare, 4) flessibilità e 5) composizione corporea.
Questi indicatori sono facilmente misurabili con la valutazione funzionale. Forse, prima di parlare di prevenzione del re-infortunio do­vremmo chiederci: “quanti atleti tornano allo sport senza che questi cinque indicatori siano stati indagati?”


La guarigione
Un’altra problematica deriva dal significato del concetto di guarigione che viene adottato dalle varie figure che si occupano dell’atleta infortunato. A volte per un chirurgo la guarigione consiste solo nella ricostruzione dell’anatomia del distretto lesionato, per un fisiatra consiste nel riprendere le comuni occupazioni, per un fisioterapista nell’alleviare la sintomatologia, per un allenatore o per un medico dello sport l’atleta è guarito quando riesce a rifare quello che faceva prima. Si potrebbe discutere a lungo sull’effettiva possibilità di guarigione di una lesione, ovvero se la cicatrice può essere intesa come guarigione, oppure se un tendine può acquisire le caratteristiche anatomo-funzionali di un legamento. Molte scelte terapeutiche dipendono da cosa pensiamo sia la guarigione, ma anche qui si tratta di un fenomeno complesso, nel quale gli aspetti anatomici, biomeccanici, fisiologici, psicologici e sociali interagiscono tra di loro e condizionano il risultato.

Il modello di allenamento
Anche il modello di allenamento (e quindi di riabilitazione) adottato può avere la sua importanza(3). Il dosaggio degli stimoli allenanti deve considerare non solo gli effetti positivi (anabolici) derivanti dall’allenamento, ma anche gli effetti negativi (catabolici) derivanti dalla fatica che sempre accompagna i carichi allenanti, cui si deve aggiungere l’eventuale comparsa di infortuni da trauma diretto, o da sovraccarico funzionale. Questi ultimi sopraggiungono ogni volta che si commettono errori nel dosaggio dei carichi.
Il delicato equilibrio tra anabolismo e catabolismo, influenzato dall’eventualità di infortuni e malattie, è sicuramente la chiave per un ri-allenamento che deve avere come obiettivo non solo il miglioramento o il raggiungimento della prestazione, ma anche la stabilità della prestazione nel tempo e la prevenzione delle malattie, degli infortuni e dei re-infortuni.
Da questo punto di vista assume importanza l’allenamento per ottenere la forma fisica necessaria per mantenere lo stato di salute.

Il problema etico
Il mondo dello sport è caratterizzato dal fatto che il ritorno allo sport è quasi sempre deciso da personale non medico coinvolto nella gestione della società sportiva di appartenenza. Ciò avviene con l’avvallo del medico di squadra, che però è stipendiato dalla squadra e non dell’atleta.
è evidente che in questa situazione si può configurare un conflitto che pone interessanti problematiche etiche(1) alle quali possono essere date diverse soluzioni, che comunque incidono sulla prevenzione del re-infortunio.


Conclusione

La prevenzione del re-infortunio si basa sul superamento delle concezioni riduzionistiche e sull’adozione di un modello che considera la dinamicità e la complessità dei fenomeni biologici e sociali, a partire dai concetti di salute e di guarigione, integrati dall’adozione di un modello di allenamento adeguato. Poiché la comprensione dei fenomeni complessi si giova di un approccio multidisciplinare, è necessario costituire equipe di specialisti dalle diverse competenze, ma interessati a comprendere le complesse relazioni tra le varie componenti, per arrivare a considerare il paziente come una persona unica che deve ottenere il massimo recupero funzionale possibile. In questo atteggiamento la valutazione dei risultati funzionali (outcomes) assume un ruolo decisivo, poiché permette di intraprendere quei processi di feed-back integrato che portano a considerare l’atleta infortunato come un’unica entità, soggetto e non oggetto dell’intervento terapeutico. ■

Bibliografia
1. Fuller CW, Walker J. Quantifying the functional rehabilitation of injured football players. Br J Sports Med 2006; 40: 151-157
2. Quatman CE, Quatman CC, Hewett TE. Prediction and prevention of musculoskeletal injury: a paradigm shift in methodology. Br J Sports Med 2009; 43: 1100-1107
3. Taha T, Thomas SG. Systems modelling of the relationship between training and performance. Sports Med 2003; 33: 1061-1073

Distorsioni di caviglia: functional outcome
Respizzi S
Dipartimento di Riabilitazione e Recupero Funzionale - IRCCS Istituto Clinico Humanitas, Milano, Italia

Le lesioni capsulo-legamentose di caviglia sono sicuramente tra i traumi sportivi più comuni rappresentando il 15% di tutte le lesioni da sport(1). Questi dati dovrebbero far riflettere, anche perché la letteratura scientifica raramente mostra una robusta evidenza clinica nelle svariate proposte terapeutiche. Si tratta, al contrario, di un evento spesso sottovalutato e quindi mal trattato. Per questo motivo andrà posta molta attenzione non solo alla cura, ma anche alla prevenzione di nuovi episodi lesivi.
Nel 85-90% dei casi si tratta di lesioni capsulo-legamentose con interessamento del comparto laterale. Nel 10-15% dei casi si ha interessamento del comparto mediale e della sindesmosi tibio-peroneale. L’evento lesivo acuto accade durante l’esecuzione di un gesto atletico con il piede atteggiato in flessione plantare, supinazione e inversione. Questo avviene tipicamente dopo un salto, per una ricaduta sul piede di un avversario o di un compagno di gioco, per presenza di irregolarità sul terreno di gioco, ecc.
Gli sport più interessati sono il calcio, il volley, il basket e il rugby.

Classificazione
1. Lesioni acute
La classificazione più utilizzata prevede tre livelli di gravità (grado I o lieve, II o moderata e III o severa) con interessamento progressivo della capsula articolare e dei legamenti peroneo-astragalico anteriore (PAA), peroneo-calcaneare (PC) e peroneo-astragalico-posteriore (PAP).

2. Lesioni croniche
Sono la complicanza più frequente di un trattamento inadeguato del primo episodio acuto. Le lesioni croniche sono le più invalidanti per l’atleta in quanto possono alterare notevolmente la performance sportiva.
Per questo motivo, se fallisce il trattamento conservativo funzionale, sono sostanzialmente l’unico caso in cui si può porre indicazione chirurgica di capsulo-plastica.

Trattamento
Lesioni acute(2, 3).
Nella maggior parte dei casi le lesioni acute di grado I e II recuperano rapidamente con trattamento conservativo funzionale.
Nel caso di lesioni acute di grado III è invece ipotizzabile il trattamento chirurgico.
È opportuno ricordare che la riabilitazione ha come scopo il massimo e più rapido recupero funzionale possibile, al fine di ridurre al minimo il grado di disabilità conseguente all’infortunio. Per ottenere questo risultato, anche in letteratura è ormai affermato come sia più efficace un trattamento di tipo funzionale vs l’immobilizzazione prolungata in gesso. Si consentirà una mobilizzazione parziale evitando di sollecitare i tessuti lesionati.
Riabilitare precocemente il paziente, in condizioni di sicurezza, favorisce la guarigione dei tessuti molli, orienta correttamente la deposizione di collagene, conserva parzialmente il tono-trofismo muscolare e mantiene la condizione atletica.
Il percorso riabilitativo inizia precocemente, già dalla 4-5° giornata dopo l’infortunio, compatibilmente con le condizioni cliniche dell’atleta. Possiamo schematizzare gli obiet­tivi da raggiungere in cinque fasi:


Fase 1: risoluzione di dolore,
gonfiore e infiammazione
Fase 2: recupero dell’articolarità
e della flessibilità
Fase 3: recupero della forza
muscolare
Fase 4: recupero degli schemi motori
e della coordinazione
Fase 5: recupero del gesto atletico
e ritorno allo sport


Tale schematizzazione non va considerata limitante, ma indirizzo di percorso.
Infatti, le varie fasi potranno sovrapporsi e il paziente progredirà, in relazione alle sue capacità di guarigione, sino al raggiungimento di obiettivi funzionali sempre più complessi. Si ideerà quindi un progetto riabilitativo personalizzato che supererà la ormai obsoleta indicazione temporale. Anche se la letteratura indica in circa 30 giorni la guarigione, tale dato va preso solo come indicativo e medio. Non dovranno pertanto stupire guarigioni accelerate o ritardate nel tempo.

Conclusioni
Le lesioni capsulo-legamentose di caviglia, pur essendo molto frequenti, sono spesso trattate in modo inadeguato e senza certezze dal punto di vista dell’evidenza.
In particolare è possibile immaginare un grande numero di lesioni modeste (grado I) totalmente misconosciute. In questi casi spesso il trattamento non si effettua o è legato a abitudini consolidate, ma non validate. Purtroppo l’analisi della letteratura sul tema lascia ancora ampi margini di dubbio.
Tale situazione ha dato spazio a innumerevoli e discutibili proposte terapeutiche.
L’indicazione è quindi di dedicare molta attenzione alla diagnosi di gravità della lesione: solo in questo modo potremo dare la risposta terapeutica corretta all’atleta.
In caso contrario, il ripetersi di episodi lievi non adeguatamente trattati può esitare in una instabilità cronica limitante la performance atletica. Anche gli episodi banali dovranno quindi essere gestiti correttamente e l’indicazione è di prescrivere il trattamento di tipo funzionale. Infine, è opportuno consigliare agli atleti un intenso programma preventivo che includa esercizi propriocettivi e di equilibrio. ■

Bibliografia
1. Fong DT, Hong Y, Chan LK, Yung PS, Chan KM. A systematic review on ankle injury and ankle sprain in sports. Sports Med. 2007; 37 (1): 73-94
2. Kerkhoffs GM, Struijs PA, Marti RK, Assendelft WJ, Blankevoort L, van Dijk CN. Different functional treatment strategies for acute lateral ankle ligament injuries in adults. Cochrane Database Syst Rev. 2002; (3): CD002938.
3. Kerkhoffs GMMJ, Handoll HHG, de Bie R, Rowe BH, Struijs PAA. Surgical versus conservative treatment for acute injuries of the lateral ligament complex of the ankle in adults (review). Cochrane Database of Systemic Reviews 2007, (2) CD000380

Come migliorare il risultato funzionale nei traumi
muscolari e tendinei: strappo del retto femorale

Nanni G
Gruppo Medico Isokinetic, Bologna, Italia

Il retto femorale è il muscolo biarticolare del quadricipite (gli altri tre, vasto mediale, vasto intermedio e vasto laterale, sono tutti monoarticolari). Agisce come flessore dell’anca e come estensore del ginocchio.
è composto da fibre che, per la maggior parte, originano dalla Spina Iliaca Antero Inferiore attraverso un tendine diretto ed in minor misura da fibre che originano dal tetto cotiloideo attraverso un tendine chiamato riflesso. Si inserisce con il tendine quadricipitale sulla rotula e con il tendine rotuleo sulla tuberosità tibiale anteriore.
La maggior parte delle lesioni muscolari avviene con meccanismo indiretto spesso in seguito a contrazioni eccentriche e vengono classificate in tre gradi a seconda della gravità della lesione:


1° grado, piccola lesione di poche fibre all’interno di un fascio muscolare;
2° grado, lesione che interessa più fasci muscolari ma con superficie di rottura inferiore ai ¾ della superficie di sezione del muscolo in quel punto;
3° grado, lesione che interessa molti fasci muscolari con superficie di rottura maggiore dei ¾ della superficie di sezione del muscolo in quel punto (rottura parziale) oppure che interessa addirittura tutto il ventre muscolare (rottura totale).

Il 30% delle lesioni muscolari da trauma indiretto interessano il retto femorale che, insieme al capo lungo del bicipite femorale, è il muscolo più colpito da questo tipo di infortunio. Il 60% di queste lesioni si distribuiscono al terzo prossimale del retto femorale, mentre solo il 10% colpisce il terzo distale, ma la maggior parte di queste sono di 2° e 3°grado. Per migliorare il risultato funzionale finale è importante che non si instaurino complicanze durante il processo di guarigione e non si verifichino recidive una volta ripresa l’attività sportiva specifica o durante il recupero del gesto specifico sul campo.Purtroppo il retto femorale è uno dei muscoli che più frequentemente va incontro a recidive. Per ridurre al minimo tale evenienza è importante arrivare ad una diagnosi certa nel più breve tempo possibile, instaurare un protocollo di lavoro che preveda il recupero della estensibilità musco­lare, della forza eccentrica e la finalizzazione di tali caratteristiche verso i gesti tecnici specifici più a rischio ed in particolare verso quello che ha provocato la lesione stessa.
è quindi importante capire quale gesto tecnico e con quale meccanismo lesivo si è provocata la lesione. ■

La pubalgia

Bisciotti GN
Orthopaedics and Sport Medicine Hospital, Doha, Qatar - Kinemove Rehabilitation Centers, Pontremoli, Parma, La Spezia, Italia

Con il termine pubalgia si dovrebbe, di fatto, intendere il sintomo, o meglio una serie di sintomi, di una patologia la cui epidemiologia resta poco chiara, soprattutto in ragione della complessità di tipo anatomico della regione pubica e del frequente sovrapporsi, al quadro clinico, di diversi tipi di patologie(1).
I quadri clinici inerenti la patologia pubalgica, vengono distinti in base al tipo di lesione anatomo-patologica ed alla sintomatologia riportata del paziente.
Attualmente, uno dei riferimenti nosologici maggiormente sistematico e funzionale, ci sembra quello derivante dai lavori di Bouvard e coll.(1), che propongono di definire con il termine di pubalgia, un’unica patologia, caratterizzata da una sintomatologia dolorosa della zona pubica, derivante dalla pratica sportiva che raggruppa, in modo isolato od associato, quattro forme cliniche:


• L’osteoartropatia pubica che interessa
l’articolazione sinfisaria e le branche
ossee ad essa adiacenti.
• Le sofferenze del canale inguinale
• Le tendinopatie inserzionali
del retto addominale
• Le tendinopatie inserzionali
e pre-inserzionali degli adduttori

Nella nostra esperienza riabilitativa, abbiamo scelto di standardizzare il programma conservativo in quattro fasi ben distinte, ognuna delle quali è caratterizzata da uno specifico schema di lavoro, caratterizzato da un’altrettanto specifica modalità di contrazione muscolare(2).


1° fase caratterizzata da un piano
di lavoro basato sulla contrazione
isometrica
2° fase caratterizzata da un piano di lavoro basato sulla contrazione isotonica
3° fase caratterizzata da un piano di lavoro basato sulla contrazione eccentrica
4° fase caratterizzata da un piano di lavoro basato sulla core stability ed il gainage

Il criterio dirimente per il passaggio alla fase successiva è costituito dalla totale assenza di sintomatologia algica nell’esecuzione del piano di lavoro proposto al paziente.
Durante la 4° fase vengono gradualmente inserite le esercitazioni “sport-specifiche” della disciplina praticata. Una corretta progressione del piano di lavoro sopraindicato permette di ottenere un’importante percentuale di outcome positivi, che si attesta a circa il 90% dei casi. ■


Bibliografi
1. Bouvard M, Dorochenko P, Lanusse P, Duraffour H. La pubalgie du sportif - stratégie thérapeutique. J Traumatol Sport. 21 : 146-163, 2004.
2. Bisciotti GN. La pubalgia dello sportive. Inquadramento clinico e strategie terapeutiche. Calzetti e Mariucci Edizioni. Perugia, 2009.

Presupposti al concetto di functional outcome – Introduzione al tema

Tencone F
Gruppo Medico Isokinetic, Torino, Italia

Introduzione del concetto di outcome
Il concetto di outcome inteso come “risultato di un processo” è stato introdotto fin dagli anni ’50 e ’60 del secolo scorso, sia nei processi produttivi (W. Edwars Deming, 1900-1993) che nella assistenza sanitaria (Avedis Donabedian, 1919-2000). Proprio al professor Donabedian è stato riconosciuto il merito di aver definito per primo un sistema di valutazione della qualità delle cure, coniando i termini di struttura, processo e risultato (outcome) nel percorso terapeutico.

La salute in quanto funzione
Nel 1980 l’Organizzazione Mondiale del­la Sanità (OMS) pubblicò un documento
dal titolo International Classification of Impair­ments, Disabilities and Handicaps (ICIDH), dove veniva sottolineata la distinzione fra “menomazione” (impairment) e gli altri due termini rispettivamente definiti “disabilità” (disability) e “handicap”.
L’aspetto significativo del primo documento OMS è stato quello di associare lo stato di un individuo, non solo a funzioni e strutture del corpo umano, ma anche ad attività a livello individuale o di partecipazione nella vita sociale. Dopo nove anni di revisioni coordinate dall’OMS, la 54a Assemblea Mondiale della Salute tenutasi il 22 maggio 2001, ha approvato la nuova classificazione riguardante la funzione, la disabilità e la salute, definita ICF (International Classification of Functioning, Disability and Health)(1). Già questo titolo è indicativo di un cambiamento sostanziale nel modo di porsi di fronte al problema di fornire un quadro di riferimento e un linguaggio unificato per descrivere lo stato di salute di una persona. Il nuovo documento sostituisce ai termini “impairment” e “handicap” con i termini “functioning” e “health”: si considera quindi lo stato di salute in rapporto alla funzione e al livello di partecipazione alla vita sociale. Infine ICF non riguarda solo le persone con disabilità, ma riguarda tutti; ha dunque uso e valore universali.

La misura del risultato funzionale
Una serie di studi scientifici ha dimostrato che i medici ed i pazienti non sono tendenzialmente d’accordo sullo stato di salute finale del paziente stesso.
Negli ultimi anni è stata sempre più sottolineata l’importanza della valutazione dei risultati focalizzati sul paziente (patient-centered), spostando così la stima dell’efficacia delle cure dai risultati valutati dal medico (clinician based) a quelli giudicati dal paziente (patient based)(2): l’efficacia della ricostruzione del legamento crociato anteriore non si valuta solamente usando i risultati del KT-1000, ma anche test funzionali (tempo di camminata, single leg hop test, ecc...) e questionari di autovalutazione delle limitazioni funzionali o del ritorno all’attività sportiva.
La misura dei risultati clinici deve pertanto essere differenziata tra i risultati “basati sul medico”, legati alla classificazione della malattia (diagnosi e tipo di lesione) o del deficit (forza, ROM, coordinazione, stato di forma), e quelli “basati sul paziente”, che riguardano i sintomi (dolore, debolezza), la funzione, la salute e la qualità della vita.
Una recentissima review ha sottolineato la mancanza di “outcome measures” definite specificamente per misurare i risultati legati al recupero degli infortuni in ambito sportivo, ma possono essere utilizzati strumenti generici (SF-36) o specifici (MFA, GOSE, IPAQ) in grado di fornire una corretta valutazione del risultato della riabilitazione nella popolazione sportiva(3).

Operatori coinvolti
Nell’ambito della riabilitazione ortopedica e sportiva il risultato funzionale del paziente è influenzato dall’intervento di diverse figure professionali (medico dello sport, ortopedico, fisiatra, fisioterapista e laureato in scienze motorie) il cui confronto e coordinamento contribuisce al raggiungimento del massimo recupero funzionale possibile.
Ragionare in termini di “functional outcome” sposta più in alto le ambizioni delle cure, per offrire ad ogni paziente il massimo recupero funzionale possibile.

Documentare il processo di cura
I medici e i rieducatori considerano la compilazione della documentazione medica un lavoro oneroso e spesso inutile. Nel migliore dei casi viene considerato un impegno necessario, ma da completare nel modo più veloce possibile. Al peggio viene considerata una “cospirazione creata dai burocrati” che fa perdere tempo agli operatori e ritarda, per il paziente, l’inizio delle cure essenziali.
è invece necessario comprendere l’importanza della registrazione dei risultati. Il processo di cura deve essere documentato per la valutazione dei risultati, per la comunicazione tra medico e paziente e tra medico e medico, per la ricerca e l’insegnamento ed infine per gli aspetti medico-legali. ■

Bibliografia
1. World Health Organisation. International Classification of Functioning, Disability and Health. Geneva: World Health Organisation 2001
2. Deyo RA. Using outcomes to improve quality of research and quality of care. J Am Board Fam Pract 1998; 11: 465-473
3. Andrew NE, Gabbe BJ, Wolfe R, Cameron PA. Evaluation of instruments for measuring the burden of sport and active recreation injury. Sports Med 2010; 40: 141-161

Come migliorare i risultati nel trattamento
della patologia femoro-rotulea

Zaffagnini S, Marcheggiani Muccioli GM, Giordano G, Bruni D, Bonanzinga T, Marcacci M
Istituti Ortopedici Rizzoli, Università degli Studi di Bologna, Italia

L’articolazione femoro-rotulea è senz’altro una delle articolazioni biomeccanicamente più complesse del corpo umano. Proprio per questo l’inquadramento ed il trattamento delle patologie femoro-rotulee è tutt’altro che chiaro e codificato.
Compiere una classificazione ed un inquadramento delle varie patologie femoro-rotulee è cosa non banale perché l’origine del quadro clinico “dolore femoro-rotuleo” è complesso e multifattoriale. Va inoltre sottolineato come la lussazione recidivante di rotula altro non è che un espressività clinica di una “displasia” femoro-rotulea che può presentarsi nei pazienti in maniera diversa in relazione alle possibili cause che ne sono all’origine.
Per migliorare i risultati nel trattamento di queste patologie è necessario che la scelta del trattamento avvenga razionalmente, in base ad una classificazione fondata sull’eziopatogenesi e sulla severità del quadro clinico. L’intento è quello di razionalizzarne il trattamento e secondariamente di determinare precise categorie diagnostiche facilmente utilizzabili per la comparazione dei risultati. Infatti il più grave errore in cui si può incorrere è quello di sottovalutare il fattore eziopatogenetico alla base del quadro clinico, rischiando di trattare la sintomatologia con tecniche chirurgiche che non tengono affatto conto del fattore causale (specifico in ciascun paziente) e che per questo non garantiscono risultati a lungo termine. La classificazione che più si adegua a questo tipo di approccio è senz’altro quella sviluppata da Dejour(1) per quanto riguarda l’instabilità femoro-rotulea, che distingue tale patologia in 2 grandi categorie: 1) displasia rotulea, in cui a gradi diversi di sintomatologia (dalla sensazione di instabilità alla lussazione abituale di rotula) si associano sempre alterazioni anatomiche tali da determinarla; 2) dolore femoro-rotuleo senza presenza di alterazioni anatomiche documentabili. Volendo riassumere e semplificare possiamo affermare che una sintomatologia femoro-rotulea può essere generalmente originata da una o più di queste anormalità anatomiche (fattori eziopatogenetici):


• difetti rotazionali degli arti inferiori (femore e/o tibia);
• displasia dell'apparato muscolare estensore;
• displasia della troclea femorale;
• rotula alta


Queste malformazioni anatomiche possono spesso trovarsi associate e sovrapposte in uno stesso paziente determinando una infinita variabilità di quadri clinici e conseguentemente una notevole difficoltà da parte del medico nel determinare e comprendere perfettamente l’origine dei sintomi.
Numerosissimi sono stati i trattamenti chirurgici proposti per la soluzione di questi disordini, ma con risultati, in letteratura, spesso poco confortanti, soprattutto a lungo termine. Anche per questo motivo il trattamento conservativo di queste affezioni deve essere considerato il trattamento primitivo, mentre il trattamento chirurgico deve essere riservato solo a casi di particolare severità anatomopatologica e clinica. Dal punto di vista chirurgico tanti e differenti tra loro sono gli approcci possibili. L’elemento fondamentale che dovrebbe guidare la scelta dell’ortopedico rimane il quadro anatomo-patologico: una volta diagnosticata l’alterazione anatomo-patologica, se l’atteggiamento conservativo non ha dato risultati, questa va corretta chirurgicamente.
In tal caso possono essere necessari interventi di riallineamento dell’apparato estensore (Elmslie-Trillat) più o meno associati ad interventi di ricostruzione legamentosa (MPFL, MPTL)(2), interventi di trocleoplastica. Possono essere associati interventi atti a ripristinare la cartilagine a livello dell’articolazione femoro-rotulea qualora questo sia indicato (scaffold o auto-/allo-graft osteo-condrali). In disuso ed a nostro parere non pienamente giustificati da evidenti basi biomeccaniche i rellease artroscopici isolati dei legamenti alari. ■

Bibliografia
1. Dejour D, Nove-Josserand L, Walch G. Patellofemoral disorders-classification and an approach to operative treatment for instability. In: Chan KM FF, Maffuli N, et al., eds. Controversies in orthopedic sports medicine. Hong Kong: Williams & Wilkins Asia-Pacific Ltd; 1998: 235-244.
2. Marcacci M, Zaffagnini S, Lo Presti M, Vascellari A, Iacono F, Russo A. Treatment of chronic patellar dislocation with a modified Elmslie-Trillat procedure. Arch Orthop Trauma Surg 2004; 124: 250-257

Infortuni muscolari recidivanti e malattia celiaca:
il caso di una giocatrice di serie A di calcio a 5

Grande D - Graziani E
Gruppo Medico Isokinetic, Torino, Italia

Introduzione
La celiachia, o morbo celiaco, è un’enteropatia immuno-mediata scatenata dall’ingestione di glutine in soggetti geneticamente predisposti.
La prevalenza è nettamente sottostimata, a causa della non univocità del corteo sintomatologico che la accompagna.
Clinicamente, nella sua forma tipica, si manifesta con diarrea, malassorbimento, e, in età pediatrica, con deficit di crescita, ma è noto che esistono molte forme atipiche. La diagnosi è legata ad uno specifico pattern immunologico, accompagnato eventualmente da biopsia intestinale, che eventualmente ne conferma la diagnosi. La terapia sostanzialmente è basata su una dieta assolutamente priva di glutine.
La rilevazione occasionale di un’elevata incidenza di infortuni muscolari in una giocatrice di calcio a 5 militante in una squadra che partecipava al campionato di Serie A, affetta da morbo celiaco, ci ha spinti verso l’ipotesi che la sprue celiaca possa portare ad una maggiore suscettibilità di infortuni muscolari in coincidenza con una alimentazione non rigorosamente priva di glutine.

Metodi
L’indagine è stata svolta attraverso la raccolta di una dettagliata anamnesi della paziente ed un attento studio clinico, completato da indagini ecografiche e test di valutazione funzionale.

Caso clinico
Il 29 settembre, durante una seduta di preparazione atletica, si è procurata una lesione di primo grado al gemello mediale a livello della giunzione mio tendinea distale. L’ecografia documentava una lesione di 22 mm, con contigua alterazione del segnale ultrasonografico compatibile con soffusione emorragica di 37x18 mm.
Contemporaneamente alla lesione muscolare l’atleta riferiva problematiche gastrointestinali (diarrea) proprie di una dieta contaminata dal glutine, dovuta nel caso specifico ad incuria della paziente.
Parallelamente al controllo dell’alimentazione attraverso una dieta completamente priva di glutine con integrazione per un mese di amminoacidi ramificati e acido glutammico, vitamina B1 e B6, glutamina, zinco e calcio 10.5 g/die (Ramtech, Ethicsport) abbiamo iniziato il trattamento riabilitativo. La prima fase del recupero si è svolta in piscina, con le prime sedute mirate al ripristino di un corretto schema del passo ed al mantenimento della capacita aerobica, monitorando i carichi costantemente con cardiofrequenzimetro con frequenza cardiaca (FC) compresa tra il 50 e il 70% della FC massima teorica (220-anni d’età).
Dalla seconda settimana abbiamo alternato sedute in piscina con sedute in palestra, aumentando progressivamente i carichi e riuscendo a far correre la paziente, senza alcun fastidio, a 20 giorni dall’infortunio.
Il test isocinetico per valutare le capacità di forza dei muscoli estensori e flessori di entrambe le ginocchia (Doc Genu3, Easytech, Prato, Italia) ha evidenziato un buon equilibrio muscolare (Tabella 1)
Abbiamo quindi potuto impostare il lavoro di rieducazione su campo,volto al recupero della gestualità specifica ed della resistenza aerobica di base.
Sul campo le intensità metaboliche sono state monitorate utilizzando come parametri di riferimento le FC di soglia aerobica (169 bpm), e di soglia anaerobica (188 bpm) determinate mediante test di corsa a velocità crescenti su nastro trasportatore ed analisi della lattacidemia alla fine di ogni carico di 3 minuti (Lactate Analyzer YSI Sport, Yellow Spring, USA).
La paziente è stata dimessa ad un mese esatto dall’infortunio, con controllo ecografico completamente negativo, assenza di sintomatologia dolorosa e recupero della normale estensibilità muscolare. Ha giocato la prima partita ufficiale il 7 novembre, cioè 40 giorni dopo l’infortunio.
A questa data però fa seguito un periodo di ripetuti episodi in cui la paziente accusa mialgia diffusa in corrispondenza degli allenamenti, con contratture muscolari che interessavamo ogni volta distretti muscolari diversi. Gli episodi si accompagnavano a segni gastrointestinali tipici della celachia. Pur avendo avuto un recupero completo dall’infortunio muscolare, senza recidiva nei quattro mesi successivi. In effetti, la paziente fa fatica a seguire una dieta rigorosa

Tabella 1: picco di momento di forza (Nm) nei movimenti indagati con il test isocinetico.

Conclusioni
In seguito ad una lesione muscolare di primo grado, una paziente celiaca può tornare allo sport senza recidive in un tempo paragonabile a quello impiegato dai soggetti non affetti da celiachia.
L’osservazione di numerosi episodi di infortuni muscolari da non contatto, di varia entità compresa tra il dolore da esercizio e lo strappo, indica che la dieta priva di glutine non viene assunta con regolarità. ■

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