Diagnosi e trattamento riabilitativo nel calciatore con lesione del legamento crociato anteriore (LCA)
A. Profili, S. Valvo, M. G. Onesta, L. Pagano, F. Cosentino, R. Biondi



I pazienti asmatici
e gli sport in montagna
A. Cogo


Tendinopatie infiammatorie: nuove soluzioni terapeutiche
a confronto

M. Muratore

Valutazione degli effetti
della applicazione TECAR® sul miglioramento della prestazione fisica su atleti high level

S. Catanese, A. Causarano
G. D’urbano, R. Kindt


Argomenti in Medicina dello Sport
Studio sulla concentrazione delle poliamine e dello
stato ossidativo nel sangue di giovani atleti dopo supplementazione
con CoQ10

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La parola al radiologo
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Anno 9 - Numero 3 - 2009
IL MEDICO SPORTIVO
Periodico di aggiornamento scientifico e
professionale

Diagnosi e trattamento riabilitativo nel calciatore con lesione del legamento crociato anteriore (LCA)

A. Profili*, S. Valvo**, M. G. Onesta**, L. Pagano**, F. Cosentino**, R. Biondi***

* Università degli Studi di Roma “La Sapienza” - Sede di Viterbo. ** U.O.C. di Medicina Fisica e Riabilitativa Az. Ospedaliera
Cannizzaro di Catania. *** Direttore Scuola di Specializzazione in Medicina Fisica e Riabilitazione - Università degli Studi di Catania.

Introduzione

Il calcio è un gioco sportivo reso popolarissimo dalla semplicità delle sue regole, dal fatto che non richiede attrezzature speciali e dall’estrema adattabilità ad ogni situazione, praticato da tanti sia a livello agonistico che amatoriale. Tuttavia è anche uno sport ad elevato rischio di infortuni. Gli arti inferiori costituiscono la sede maggiormente interessata dai traumi, il ginocchio è l’articolazione più frequentemente coinvolta. Le lesioni di maggior riscontro sono i traumi distorsivi e in particolare le lesioni del legamento crociato anteriore (LCA), le lesioni del legamento collaterale
mediale (LCM), le lesioni meniscali e le lesioni condrali.
A tale proposito, le lesioni del LCA avvengono prevalentemente con meccanismo indiretto, mentre le lesioni del LCM si verificano spesso dopo contatto o contrasto con l’avversario; le prime hanno indirizzo chirurgico, le seconde conservativo. Infatti, nel caso di una lesione del legamento collaterale mediale, la prognosi è solitamente buona, avendo tale legamento
un’ottima e sicuramente migliore capacità autoriparativa rispetto al LCA, con guarigione favorita da un programma riabilitativo della durata di 4-8 settimane mirante a ripristinare il normale range articolare del ginocchio ed a tonificare la muscolatura della coscia.Nel caso di una lesione del LCA invece, l’approccio terapeutico prevede un trattamento chirurgico di ricostruzione che sfrutta il tendine rotuleo o i tendini semitendinoso e gracile, cui deve far seguito, per una completa ripresa funzionale, un programma rieducativo personalizzato progressivo della durata di circa 5-6 mesi. Qualora non si proceda alla ricostruzione, il rischio principale della prosecuzione dell’attività sportiva o di attività lavorati­ve/ricreative pesanti è quello di riportare una serie di microtraumi distorsivi che producono lesioni a carico dei menischi e delle strutture legamentose periferiche, producendo una artrosi precoce del ginocchio e compromettendo le prestazioni del paziente, solitamente giovane, nell’ambito dell’attività calcistica praticata a scopo ludico o agonistico.

Anatomia e ruolo biomeccanico del LCA

Meccanismi di produzione, fattori di rischio e prevenzione della lesione del LCA
Il ginocchio è costituito essenzialmente dalla compartecipazione di due articolazioni (la femoro-tibiale, che è di appoggio e la femoro-rotulea, che è di scivolamento) e da strutture legamentose, meniscali e tendinee (legamento crociato anteriore LCA, legamento crociato posteriore LCP, legamento collaterale mediale LCM, legamento collaterale laterale LCL, menisco mediale, menisco laterale, tendine quadricipite, tendine rotuleo).
Esistono poi numerose altre strutture anatomiche come borse e legamenti mi­nori che nel loro insieme provvedono ad aumentare la stabilità e la funzionalità del ginocchio consentendo la stazione eretta, la deambulazione e la corsa (Figura 1).

I legamenti crociati sono cosiddetti perché si incrociano ad x. Si parla di crociato anteriore o posteriore in relazione al rapporto che essi contraggono con l’eminenza intercondiloidea della tibia.
Nel dettaglio, il LCA, la cui lesione è oggetto di questa trattazione, è un cordone fibroso del diametro di circa un centimetro che origina dall’area rugosa posta davanti alla sopraddetta eminenza e si estende verso l’alto e verso la parte più posteriore della faccia mediale del condilo laterale del femore. Da un punto di vista anatomico è costituito da due fasci: il fascio antero- mediale, che risulta maggiormente lungo e voluminoso ed è a stretto contatto con il legamento crociato posteriore (LCP), e il fascio postero-laterale, di dimensioni minori e che risulta quasi completamente coperto dal fascio antero-mediale (Figura 1).

Dal punto di vista funzionale i due fasci hanno un comportamento diverso, il fascio antero-mediale infatti, a ginocchio flesso, sopporterebbe la maggior parte del carico sui tre piani spaziali.
Per ben capire la funzione del LCA occorre descrivere brevemente il meccanismo di base intercorrente tra la tibia ed il femore. Il movimento tra tibia e femore è una combinazione di rotolamento e scivolamento, e risulta un meccanismo piuttosto complesso che viene appunto realizzato grazie alla presenza del LCA e del LCP. Durante la flessione del ginocchio è il LCA che determina il passaggio dal meccanismo di rotolamento a quello di scivolamento, mentre nella fase di estensione è il LCP che determina la cinematica inversa. Se, semplificando molto da un punto di vista di biomeccanica l’analisi del movimento del ginocchio, consideriamo solamente il meccanismo della flesso-estensione sul piano sagittale (in realtà il movimento è di tipo tridimensionale e contestualmente al movimento di flesso-estensione si verificano dei movimenti di rotazione), durante la flessione si verifica una intrarotazione della tibia, mentre durante l’estensione la tibia viene extraruotata. Se consideriamo il femore fisso e la tibia mobile (ossia una catena cinetica aperta), durante la flessione, che viene determinata dalla contrazione degli ischio-crurali, avremmo un impegno del LCP, mentre durante l’estensione, provocata dalla contrazione del quadricipite, il lavoro sarà a carico del LCA. Se al contrario consideriamo la tibia fissa ed il femore mobile, come nel caso d’appoggio del piede al suolo (catena cinetica chiusa) il quadricipite sarà attivo, sia durante l’estensione (attivazione concentrica), che durante la flessione (attivazione eccentrica) e l’impegno del LCA risulterà continuo. Fa eccezione a questa regola l’evenienza in cui il quadricipite sia attivato a ginocchio flesso, in questo caso la tibia viene spinta posteriormente e le sollecitazioni sul LCA diminuiscono. Per cui, sul piano sagittale, il LCA ed il LCP stabilizzano l’articolazione del ginocchio in senso antero-posteriore, in particolare il LCA si oppone alle eccessive traslazioni anteriori della tibia e sulle trazioni posteriori del femore sulla tibia quando quest’ultima risulti fissa, mentre
il LCP contiene le eccessive traslazioni posteriori della tibia rispetto al femore.

Meccanismi di produzione, fattori di rischio e
prevenzione della lesione del LCA


I meccanismi che risultano come frequenza maggiormente associati alla lesione parziale o totale del LCA sono:
• L’extra-rotazione in valgo
• La flessione del ginocchio
associata all’intrarotazione
• L’iperestensione associata all’intrarotazione
In specie, nel calciatore essa si realizza per traumi da contrasto a terra (trauma dall’esterno) oppure più comunemente per traumi senza contrasto (bruschi movimenti di torsione sull’arto inferiore); di particolare interesse e incidenza appaiono i traumi da gioco “aereo” come avviene per esempio nella ricaduta da un salto.
I principali fattori di rischio sono rappresentati da:
• Elevato numero di partite
• Agonismo esasperato
• Aspettative esagerate
• Mancanza di idoneo allenamento
• Errori di alimentazione
• Stress
• Spazio intercondiloideo stretto

Ai fini preventivi è importante:
• Il ruolo del direttore di gara
• L’educazione alla corretta
concezione del calcio

Diagnosi

Un precoce e corretto inquadramento diagnostico risulta fondamentale al fine di proporre ed effettuare nel calciatore con lesione del LCA un congruo trattamento che gli consenta di riacquisire e migliorare le abilità motorie antecedenti al trauma per poter tornare a praticare l’attività sportiva ai livelli precedenti.
La diagnosi del danno legamentoso avviene essenzialmente attraverso quattro tipi d’indagine:

• La valutazione anamnestica
• L’esame obiettivo generale del ginocchio
• L’esecuzione di tests specifici
• L’indagine strumentale.

All’anamnesi è importante indagare su traumi precedenti, sulla sintomatologia dolorosa, sul meccanismo traumatico, sulla sensazione di crack al momento del trauma, su eventuale sensazione di cedimento, dunque di instabilità del ginocchio, e sulle future aspirazioni del paziente in modo da formulare un trattamento personalizzato ottimale.

All’esame obiettivo generale del ginocchio in fase acuta
si può rilevare:

• Tumefazione: emartro-idrarto
• Limitazione funzionale
(deficit di estensione-flessione)
• Blocchi articolari

In fase cronica:
• Tumefazione: idrarto
• Limitazione funzionale
(deficit di estensione-flessione)
• Blocchi articolari
• Atrofia del quadricipite (valutata misurando la circonferenza coscia)

Con l’esecuzione dei tests specifici l’operatore cerca di stabilire:
• se la lesione è isolata, cioè interessa solo il LCA, oppure complessa, si può infatti avere la triade mediale con interessamento contemporaneo del LCA, del LCM e del menisco mediale (per trauma in valgo- rotazione esterna); l’interessamento contemporaneo del LCA e del LCL ( per trauma in varo-rotazione interna); la pentade mediale con interessamento contemporaneo del LCA, del LCP, del LCM, del menisco mediale e della capsula postero interna (per trauma in valgo rotazione esterna). Nei casi più gravi si trova la lesione del LCA in combinazione con delle fratture.
• l’entità della lassità legamentosa, sia in senso anteriore-posteriore, attraverso il test del cassetto anteriore ed il Lachman test (tests statici), sia in senso rotatorio, grazie al jerk test ed al pivot shift test (tests dinamici).

Test del cassetto anteriore: il paziente è supino con il ginocchio flesso a 80°-90°, il medico si siede sul piede del paziente e determina una traslazione anteriore della tibia tirandola con entrambi le mani verso di se. è positivo se non si avverte alcuna sensazione di stop (massima estensione del legamento).
Test di Lachman: è in pratica una manovra del cassetto con ginocchio flesso a 20°-30°. Il paziente è supino, l’esaminatore con una mano tiene bloccato il femore e con l’altra esegue una traslazione
anteriore della tibia. Normalmente si avverte un blocco del movimento, blocco che manca se il crociato anteriore è lesionato, quindi anche in questo caso si ricerca il “punto di arresto” (Figura 2).

Jerk test: serve a dimostrare la sublussazione che può avvenire quando il LCA non è funzionale, quindi è un test indiretto di lesione del LCA. Si esegue con il paziente supino, l’esaminatore afferra il piede dell’arto da esaminare e, in estensione completa, lo intraruota; questo determina una sublussazione della tibia rispetto al femore se il LCA è rotto. Pone poi una mano sul versante laterale della tibia e, spingendo, flette il ginocchio; a circa 20° la sublussazione si riduce con un sobbalzo visibile.

Pivot shift test: stessa procedura dello Jerk test partendo dalla estensione. Risulta difficile da obiettivare in acuto per il subentrare della contrazione antalgica.
Le lesioni del LCA avvengono nel 75% dei casi nella porzione mediale del legamento, nel 20% a livello dell’inserzione femorale e solo nel 5% a livello di quella tibiale. La gravità è in rapporto al grado di lassità e/o di instabilità residua.
Una lesione di I grado è caratterizzata da parziali microlesioni con presenza di versamento emorragico senza lassità. Prevede, a differenza delle lesioni più severe, di grado II o III, un trattamento terapeutico non chirurgico bensì basato sul riposo, sull’approccio conservativo riabilitativo, sulla somministrazione di FANS, supplementato da integrazione di microalimenti per favorire la riparazione endogena.
La lesione di II grado è caratterizzata da una lesione incompleta con versamento emorragico, una discreta perdita di funzionalità dell’arto e un aumento della traslazione anteriore. È presente dolore che si accentua con l’esecuzione del Lachman test.
Nelle lesioni di III grado si riscontra una rottura completa con Lachman test e pivot shift test positivi. Il soggetto molto spesso sostiene di aver udito un “crack” e di aver avuto la sensazione di “cedimento” del ginocchio. È presente un dolore iniziale che diminuisce nel giro di alcuni minuti. Un emartro non significativo compare entro 1 o 2 ore.
Le più frequenti in un evento traumatico verificatesi nell’ambito della pratica sportiva calcistica sono le lesioni del LCA complete, quindi quelle di III grado.
Nelle prime ore dopo il trauma, lo specialista può ritenere opportuno eseguire un’artrocentesi (prelievo di liquido dal ginocchio mediante siringa). Questo gesto ha una finalità sia diagnostica, per ricercare la presenza dell’emartro (presenza di liquido contenente sangue all’interno del ginocchio) dotato di elevato valore diagnostico presuntivo, sia terapeutica, per alleviare il dolore provocato dalla distensione della capsula articolare.
La conferma della lesione del LCA avviene grazie all’analisi strumentale. L’esame radiografico del ginocchio nelle due proiezioni standard antero-posteriore (AP) e latero-laterale (LL) è indispensabile per escludere eventuali lesioni ossee, in particolare per ricercare lesioni a carico delle spine intercondiloidee (punto di inserzione del legamento crociato anteriore a livello del piatto tibiale) evenienza relativamente frequente negli sportivi di giovanissima età, oppure la cosiddetta frattura di Segond, di per sé indicativa di lesione del legamento. Particolari esami radiologico-strumentali (RX sotto stress) permettono di ottenere una valutazione semiquantitativa di lesioni inveterate del legamento crociato anteriore, ma non sono praticamente mai necessari. Per la valutazione di lesioni legamentose, meniscali o cartilaginee, il gold standard diagnostico è rappresentato dalla risonanza magnetica nucleare e tale esame risulta praticamente indispensabile nella valutazione definitiva di una lesione del legamento crociato anteriore. Consente di eseguire un bilancio completo del ginocchio e soprattutto di valutare ulteriori lesioni supplementari che giocherebbero un ruolo importante nella strategia terapeutica (Figura 3).


Recentemente alcuni lavori scientifici riportano di diagnosi effettuate grazie all’esame ecografico, anche se questo tipo d’indagine nell’ambito delle lesioni al LCA deve essere ancora scientificamente confermato. Va sottolineato che la diagnostica per immagini in ogni caso aiuta ma non sostituisce l’esame obiettivo e l’esperienza clinica (Figura 4).


Protocollo riabilitativo generale in persona
sottoposta ad intervento di ricostruzione del LCA con
tendine rotuleo


Attualmente, l’intervento per la ricostruzione del legamento crociato anteriore utilizza, attraverso la tecnica artroscopia, i tendini semitendinoso e gracile, suturati insieme a formare un prelievo quadruplicato, avente lo spessore di quattro fasci, o più frequentemente la porzione centrale del tendine rotuleo. Possono essere utilizzati per la ricostruzione anche prelievi tendinei “omologhi” (da donatore), specialmente in caso di interventi di revisione o di instabilità legamentosa multipla.
In genere, una lesione traumatica del legamento crociato anteriore non necessita di una terapia chirurgica d’urgenza (come una frattura), ma, al contrario, le attuali indicazioni consigliano di non intervenire su una articolazione sede di un importante processo flogistico in atto per evitare il rischio d’insorgenza di fenomeni fibroaderenziali imponenti nel post-operatorio, con possibilità di evoluzione in un’artrofibrosi.
In tale ottica, il protocollo riabilitativo segue solitamente 2 fasi:

• Pre-operatoria
• Post-operatoria

Gli obiettivi sono rappresentati dalla:

• riduzione del versamento e dell’infiammazione articolare;
• recupero dell’articolarità;
• recupero della forza muscolare: dopo il 4° mese è utile eseguire nuovamente il test isocinetico in modo da confrontare i risultati ottenuti con quelli riscontrati nel pre-operatorio;
• recupero del tono-trofismo del quadricipite: non lo si fa contrarre isolatamente ma in co-contrazione con gli ischiocrurali (per almeno due mesi: tempo di cicatrizzazione del legamento); si usano elettrostimolazione ed esercizi isotonici in catena cinetica chiusa (es: pressa), perché in catena cinetica aperta ci sarebbe traslazione della tibia e quindi un pericolo per il LCA;
• recupero della coordinazione della stabilità funzionale: l’obiettivo principale del trattamento fisioterapico è quello di recuperare la stabilità del ginocchio, attuabile attraverso la proposta di esercizi di instabilità bipodalici e monopodalici su tavolette, in modo da attivare quei meccanismi di controllo posturale che vengono fortemente compromessi dopo l’infortunio. Importante, nel post-operatorio, ricordare di effettuare gli esercizi di stabilità anche con l’arto sano, per recuperare il periodo di inattività;
• recupero della elasticità: esercizi su tappeto elastico abbinati ad andature effettuate con l’ausilio di elastici, migliorano l’elasticità degli arti inferiori;
• recupero del gesto atletico e ritorno all’attività sportiva calcistica.

Fase Pre-operatoria:

Nella fase acuta conseguente al trauma sono consigliati:
• Riposo
• Bendaggio
• Impacchi di ghiaccio (applicazioni di 20-30 min. almeno 2 volte al giorno), scarico, elevazione dell’arto, terapia antiinfiammatoria ed antidolorifica per un precoce decongestionamento articolare e per l’attenuazione del dolore (particolarmente efficaci i farmaci antiinfiammatori non-steroidei as­sun­ti per via sistemica o applicati localmente).
• Uso di un tutore immobilizzante il ginocchio
Il periodo pre-operatorio in termini riabilitativi è di fondamentale importanza perché permette alla persona traumatizzata di presentarsi alla data dell’intervento con un trofismo muscolare buono e quindi di recuperare più velocemente e meglio.
Il paziente viene inoltre istruito all’uso delle canadesi da utilizzare (deambulazione post intervento), sul programma di rafforzamento muscolare e sul programma di movimento passivo continuato al quale si accede subito dopo l’intervento.

Fase Post-operatoria:

Superato il giorno dell’intervento chirurgico inizia il periodo riabilitativo vero e proprio volto ad assicurare la migliore ripresa funzionale del ginocchio. Il programma riabilitativo post-operatorio può essere schematizzato come di seguito ma va sottolineata la impossibilità di standardizzare in modo troppo rigido il protocollo utilizzato. Infatti ogni paziente presenta caratteristiche peculiari che vanno tenute in considerazione.
Lo schema proposto, basato su validi presupposti biomeccanici, deve quindi essere una traccia sulla quale confezionare un trattamento personalizzato. La fase della riabilitazione è delicata perché il paziente deve eseguire una serie di esercizi per rinforzare la muscolatura e recuperare movimento e coordinazione, senza però provocare sovraccarichi che potrebbero allentare o rompere il neo-legamento.
Altrettanto importante è il controllo periodico del recupero articolare e muscolare per apportare le modifiche necessarie ed ottenere così il massimo risultato terapeutico.
Per ottimizzate i risultati è indispensabile una positiva collaborazione tra fisiatra, ortopedico, fisioterapista, medico radiologo e tecnico di radiologia.
Un ultimo aspetto da non trascurare è il sostegno psicologico del paziente sportivo solitamente giovane, ed entusiasta. è indispensabile spiegare in ogni dettaglio quale sarà il lavoro da svolgere, quali sono i tempi previsti mediamente e, soprattutto, quali sono le complicanze più frequenti e i relativi rimedi.

Attenzione:

queste fasi non sono da intendersi rigidamente, ma in maniera flessibile ed adattate in base al parere del medico.
La mobilizzazione passiva articolare si realizza in maniera classica, quindi manuale e con Kinetec, apparecchiatura elettromeccanica oggi largamente diffusa.
La struttura di questo dispositivo è basata su una unità di controllo remoto (telecomando), tramite la quale si possono impostare i parametri operativi e sull’unità di mobilizzazione passiva, una vera e propria slitta motorizzata sulla quale viene fissata la gamba del paziente, in maniera da far corrispondere le articolazioni ai tre giunti di cui è dotata l’apparecchiatura. Ovviamente il Kinetec non è un’alternativa alla riabilitazione manuale del fisioterapista, permette invece di rifinire e completare la fase riabilitativa manuale effettuata a partire dall’immediato periodo postoperatorio, sino alla sesta settimana.
Caratteristica fondamentale di queste apparecchiature è la robustezza meccanica in quanto devono sopportare il peso e la resistenza al moto della gamba del paziente.
Altra caratteristica importante è la possibilità di impostare opportunamente i parametri, tra i quali:
• Velocità ed accelerazione di flessione ed in estensione
• Angolo di flessione e di estensione
• Numero di cicli o durata della seduta
e soprattutto:
• Forza applicata alla gamba durante il movimento (e relativa limitazione)

Limite di queste apparecchiature è la scarsa versatilità, dovuta alla costruzione meccanica che permette il movimento di traslazione della gamba (e quindi rotazione del ginocchio) lungo un solo asse.

Riabilitazione propriocettiva

Occupa un posto molto importante nella riabilitazione del ginocchio operato.
Diversi studi hanno messo in evidenza che la rottura del legamento crociato anteriore provoca la perdita delle strutture nervose propriocettive contenute nello stesso, provocando, quindi, nel paziente una sgradevole sensazione di instabilità e di cedevolezza del ginocchio, anche dopo ricostruzione del legamento. In uno studio italiano realizzato dall’équipe del Prof. Cerulli realizzato su 600 giocatori di calcio la metà (300) ha intrapreso una riabilitazione di tipo propriocettiva e la metà restante ha continuato le classiche sedute di allenamento. Il risultato è eclatante in quanto tra i giocatori che hanno integrato agli allenamenti una riabilitazione propriocettiva, nei tre anni seguenti, sono stati notati solo 10 rotture del legamento crociato anteriore. Tra i restanti 300 giocatori che non hanno intrapreso questa riabilitazione propriocettiva, ben 70 hanno presentato una rottura del legamento crociato anteriore nello stesso lasso di tempo (tre anni).

Elettroterapia-generalità

Per elettroterapia s’intende l’utilizzo di correnti a scopo antalgico (correnti diadinamiche, TENS, etc.) o di stimolazione neuromuscolare ( esponenziali, correnti di Kotz, etc.) o in qualità di vettore per trasportare gli ioni attivi di un farmaco all’interno di tessuti biologici ( ionoforesi).
Include cioè macrocategorie di trattamenti funzionalmente differenti, ovvero :

• TENS (transcutaneous electrical nerve stimulation): trattamento che permette l’innalzamento della soglia del dolore ed una buona analgesia, si basa su correnti alternate (dette anche onda H o cinese) applicate localmente in ma­niera de far avvertire al paziente un forte formicolio simile all’addormentamento di un arto. Le applicazioni, con cadenza giornaliera, saranno locali, badando a posizionare gli elettrodi in maniera da includere tutta la zona dolorante. La durata minima è di 20 minuti. Le frequenze impiegabili sono di circa 100-150 Hz per le prime 2-3 sedute, per impiegare successivamente frequenze di 80 Hz nei giorni successivi, cercando di ridurre le frequenze degli impulsi di seduta in seduta per prolungare l’effetto antalgico.
L’azione antalgica della TENS è dovuta alla inibizione periferica degli stimoli nocicettivi. La moderna tecnologia mette oggi a disposizione apparecchiature che consentono una stimolazione sempre più efficace e mirata. La metodica è controindicata in caso di lesioni della cute, epilessia, portatori di pace-maker, gravi cardiopatie. Se ne sconsiglia l’utilizzo in presenza di gravidanza, mezzi metallici intratissutali e disturbi della sensibilità.

• Ionoforesi: consente la somministrazione locale, controllata e graduale, di farmaci con effetto antiinfiammatorio o antiedematoso, tramite corrente continua a bassa intensità (pochi mA), al fine di limitare gli effetti del trattamento chirurgico. I trattamenti di ionoforesi possono essere somministrati a giorni alterni al fine di evitare eccessiva irritazione della cute, badando a posizionare l’elettrodo con il farmaco sulla zona da trattare e quello “indifferente” ad un estremo della stessa.
I farmaci più frequentemente usati sono gi antiinfiammatori non steroidei, anestetici (carbocaina 3% e lidocina 4%), chelanti (EDTA), cortisonici e preparati galenici. La metodica è controindicata in caso di dermatiti, ferite ed abrasioni), ipoestesia, allergia al farmaco usato, epilessia, vasculopatie, presenza di mezzi di sintesi metallica nella sede di applicazione, gravi disturbi cardiaci, portatori di pace-maker.
Si sconsiglia inoltre durante la gravidanza e l’allattamento.

• Elettrostimolazione muscolare: include le correnti di Kotz, Isometriche, Isocinetiche, etc. consistono in correnti alternate ad intensità tale da determinare contrazione dei muscoli. Le forme d’onda utilizzate variano a seconda che il muscolo da stimolare sia normoinnervato o denervato. Nel primo caso si utilizzano le correnti di tipo faradico, rettangolari o le correnti di Kotz (correnti sinusoidali a media frequenza con spiccato effetto eccitomotorio); in presenza di muscolo denervato si utilizzano le correnti esponenziali che hanno forma triangolare ed in cui l’acme viene raggiunto gradualmente. Le controindicazioni sono le stesse delle altre forme di elettroterapia. Si sconsiglia nei casi di ipertono muscolare (Figura 5).

Ampio utilizzo nella riabilitazione del paziente operato di LCA trovano anche l’ultrasuonoterapia, la magnetoterapia e la laserterapia per le proprietà antiedematose, antiflogistiche ed antiinfiammatorie associate a queste pratiche.

Scale di valutazione

Di fronte alle esigenze sempre maggiori di trasparenza, precisione ed efficienza, richieste a chi di riabilitazione si occupa in modo valido ed innovativo, utile la somministrazione delle scale VAS, SF-36 e Knee Rating Scale, prima dell’intervento, a 1 mese, a tre mesi, a 6 mesi ed infine a 12 mesi per la valutazione dei risultati ottenuti.
La VAS (VAS: visual analog score) di Scotte Huskisson è una scala unidimensionale soggettiva analogico-visiva graduata da 0 a 10, è una sorta di termometro del dolore. In pratica è costituita da un segmento di retta orizzontale o verticale (solitamente lungo 10 cm), alle cui estremità sono riportate rispettivamente l’assenza del dolore, indicata con lo 0, ed il massimo dolore immaginabile, indicato con il 10. I vantaggi offerti dall’utilizzo di questa scala sono rappresentati dalla ripro­ducibilità, dalla semplicità e dalla brevità dell’esecuzione.
L’SF-36 è la versione migliorata, per la valutazione della quality of life, del più breve SF-12, si tratta di un questionario psicometrico generico, in quanto valuta il livello di attività e la sensazione di benessere di ciascuno. Ha il vantaggio di essere conciso (mediamente il soggetto non impiega più di 10 minuti per la sua compilazione), preciso (lo strumento è valido e riproducibile) e di poter essere effettuato nel corso di un colloquio vis à vis o addirittura per telefono. Si articola in 36 domande che permettono di assemblare 8 differenti scale. La KRS (KRS: Knee Rating Scale) è una scala specifica per il ginocchio che misura le dimensioni di menomazione(dolore, articolarità, forza muscolare, contrattura in flessione, instabilità) e di disabilità (funzione) per un massimo di 100 punti cui vanno tolti determinati fattori di sottrazione.

Conclusioni

La patologia acuta e cronica dei legamenti crociati costituisce uno dei capitoli più interessanti della chirurgia del ginocchio. In particolare la lesione del legamento crociato anteriore è stato ed è tuttora argomento centrale di un grandissimo numero di corsi di aggiornamento, congressi e lavori scientifici.
Essa è tipica dello sportivo ed in particolare dei giovani dediti al calcio a diversi livelli. Si tratta solitamente di soggetti motivati per i quali c’è l’indicazione al trattamento chirurgico seguito da un programma riabilitativo che, se adeguato, consente il raggiungimento di un buon risultato dal punto di vista clinico e funzionale. Viene pertanto condotto seguendo protocolli molto precisi e definiti, che variano in funzione della tecnica chirurgica utilizzata, del tipo di trapianto e della sua fissazione. Lo scopo essenziale è comunque quello di iniziare la riabilitazione già prima dell’intervento e nell’immediato post-operatorio.
Il paziente può flettere ed estendere il ginocchio immediatamente dopo l’intervento. In generale, si ottiene la completa flessione del ginocchio a circa tre mesi dall’intervento.
Per quanto riguarda il potenziamento muscolare, bisogna impedire che i muscoli si disabituino alla mobilità, perdendo in efficacia nella loro capacità di rispondere agli stimoli nervosi.
A tale scopo è possibile utilizzare la elettrostimolazione in associazione con una serie di opportuni esercizi muscolari. Naturalmente, accanto ad un adatto programma di potenziamento muscolare, è molto importante lo stretching.
Una procedura fondamentale nell’ambito delle tecniche riabilitative è la riabilitazione “propriocettiva”.

Si consiglia la ripresa del carico deambulatorio completo dopo circa 30 giorni dall’intervento, consentendo fino a tale termine la deambulazione con ausilio di due stampelle con carico parziale. Intorno ai 2 mesi dall’intervento inizio della corsa, nuoto, bicicletta. A 5-6 mesi inizio di allenamenti più intensi per la ripresa dell’attività sportiva calcistica praticata. ■

Bibliografia
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