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Il trattamento artroscopico della Frattura-Avulsione
dell’Eminenza Intercondiloidea Anteriore mediante
utilizzo del sistema TIGHT-ROPE

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Anno 11 - Numero 2 - 2011
IL MEDICO SPORTIVO
Periodico di aggiornamento scientifico e
professionale


Il trattamento artroscopico della Frattura-Avulsione
dell’Eminenza Intercondiloidea Anteriore
mediante utilizzo del sistema TIGHT-ROPE

M. Verga, A. San Martino
Dirigenti Medici Ortopedici ASL/TA

I traumi di ginocchio degli adolescenti, raramente producono una lesione del Pivot centrale per effetto della maggior resistenza delle strutture legamentose rispetto a quelle ossee (Figura 1, 2), pavimento tibiale, sede della eminenza Intercondiloidea Anteriore.
Il meccanismo etiopatogenetico causa della lesione, consiste in una flessione forzata del ginocchio, sommata ad una rotazione interna della tibia. Cadute dalla bici, incidenti sciistici e torsioni sono la causa più frequente di questa frattura.
Meyers e Mc Keever (Figura 3) con la loro fondamentale classificazione, hanno contribuito, per primi a differenziare il trattamento a seconda del tipo di frattura ed hanno fortemente condizionato gli altri autori nella scelta terapeutica.

Classificazione

Tipo I con minimo spostamento del frammento avulso;
Tipo II con spostamento del 3° anteriore del frammento avulso “a becco” nella Rx laterale;
Tipo III con completa separazione
del frammento dal pavimento tibiale, senza apposizione di frammenti;
Tipo III + R: uguale al III tipo con l’aggravante della componente rotatoria che rende l’unione più difficile.

Figura 1

Figura 2

Figura 3

Il sottotipo III + R, corrisponde al IV tipo di Zaricznyi (1977) con l’aggiunta della comminuzione.
Nel Tipo I, condizione che si verifica in circa il 27% dei casi, il trattamento conservativo con tutore o apparecchio gessato in completa estensione è accettato da tutti gli autori.
Il Tipo II, il più frequente, ricorrendo in oltre il 50 % dei casi, è oggetto di forti discussioni in campo internazionale sul­le strategie terapeutiche orientate verso un trattamento conservativo.
Il Tipo III e il Tipo III + R con incidenza del 20% dei casi, richiedono routinariamente la soluzione chirurgica.
Riteniamo molto importante la subclassificazioe dell’avulsione dell’LCA, ad integrazione di quella di Meyers e Mc Keever, proposta da Zifko e Gaudernack.
I primi due tipi sono classificati in modo analogo: il Tipo IIIA con avulsione che interessa parzialmente l’eminenza ed il Tipo IIIB con avulsione che interessa l’intera l’eminenza intercondiloidea.
Le attuali tecniche artroscopiche, me­diante Fili di Kirschener, viti cannulate metalliche o fili riassorbibili e non riassorbibili (Figura 4, 5), hanno sostituito quasi del tutto quelle “Open” grazie alla maggior precisione delle tecniche ed alla mininvasività di queste ultime, tutto ciò a vantaggio di una riduzione delle complicanze postchirurgiche ed una più rapida ripresa dell’attività sportiva.
L’uso di fili di sutura a ponte sull’eminenza intercondiloidea o addirittura in­trodotti nell’inserzione distale dell’LCA mediante appositi strumenti, non rappresenta a nostro avviso la soluzione ideale, sia per la non facile esecuzione, in quanto i due fori devono essere eseguiti al di fuori del cratere sede dell’avulsione e non di meno perché le forze dei fili si scaricano direttamente sulla bratta ossea tibiale. Da circa due anni abbiamo adottato un sistema il TIGTH ROPE, in uso per la lussazione A/C e per la diastasi della Sindesmosi Tibio-Peroneale.
Questo sistema è costituito da una placchetta articolare in titanio, agli estremi della quale sono posti dei fori che permettono di far passare 2 fili di Fiber-Wire n° 5 quadruplicati, resistenti a notevoli sollecitazioni, distalmente vi è un piccolo bottone extrarticolare in titanio con quattro fori dove i quattro capi dei fili ripassano per essere annodati infine sullo stesso bottone. La nostra tecnica è di facile applicazione per chirurghi che abbiano dimestichezza con la plastica artroscopica dell’LCA, non necessita di controllo con amplificatore di brillanza intraoperatorio e la fissazione definitiva viene effettuata quasi in estensione.

Figura 4

Figura 5

Figura 6

Figura 7

Figure 8-9-10-11

Tecnica chirurgica
In decubito supino, con ginocchio flesso a 90° ed apposito tourniquet, mediante uso di manicotto ischemico applicato alla coscia omolaterale, si effettuano i portali artroscopici AL-AM, introdotto l’artroscopio in articolazione con inflow ed aspiratore sulla camicia dell’ottica, con pompa a 50-60 mm di Hg, si effettua un primo lavaggio per rendere nitida la visione. Si procede con un bilancio della lesione e delle eventuali lesioni associate che vengono trattate.
Mediante strumento motorizzato (Shaver) (Figura 3) si procede ad asportazione dei coaguli, si esegue debridement del fondo del cratere sede dell’avulsione ed eventuale rimozione dell’interposizione del legamento intermeniscale, mediante un trocar smusso si procede a saggiare la corretta riducibilità della frattura.
Fase successiva è l’introduzione della guida tibiale (Figura 1), Dx o Sx a seconda del ginocchio, regolata a 55°, all’interno dell’articolazione che servirà a ridurre la frattura e passare mediante un piccolo accesso cutaneo a livello della zampa d’oca un filo da 2.0 o 2.4 mm che giungerà nella sede di inserzione distale dell’LCA (Figura 4), il più vicino possibile al legamento stesso, rimuovendo la guida tibiale ed il suo trocar si esegue con fresa da 3.5 o da 4.0 mm un piccolo tunnel tibiale che consentirà me­diante lo step successivo il passaggio di un filo trasportatore metallico con asola che consente il passaggio del filo di trasporto del sistema TIGTH ROPE ed il successivo ingresso della piccola placchetta in articolazione con l’ausilio di una pinza da presa artroscopica che agevola la risalita del sistema nel tunnel tibiale (Figura 5-6). Avremo quindi la placca in articolazione (Figura 7) ed i fili già caricati sul bottone distale che, dopo la riduzione eseguita sotto controllo artroscopico, vengono annodati con ginocchio a 10-15° di flessione terminando così la fissazione distale.
Eseguiamo un controllo artroscopico finale in flesso-estensione valutando la stabilità del sistema e la corretta riduzione e sintesi.
Applichiamo un drenaggio articolare per 24 ore. Si procede alla sutura della piccola ferita sulla zampa d’oca e dei portali artroscopici. Medichiamo ed applichiamo una calza elastica a compressione graduale lunga ed un tutore bloccato in estensione.

Post operatorio
Abbiamo eseguito la Radiografia al termine dell’intervento (Figura 8-9) e la RM il giorno dopo (Figura 10-11), abbiamo mantenuto il tutore bloccato in completa estensione per 2 settimane, abbiamo concesso il carico con due bastoni dal giorno dopo ed al secondo controllo radiografico del ginocchio in AP-LL al 14° giorno abbiamo sbloccato il tutore a 20-30°.
Il tutore è stato fatto indossare fino al 30° giorno, giorno in cui dopo aver preso in visione la nuova radiografia, abbiamo rimosso completamente il tutore stesso. Abbiamo poi eseguito controlli clinici trimestrali ed una RM di controllo a 6 mesi.
Clinicamente non abbiamo riscontrato lassità residue, i nostri adolescenti sono tornati alle loro attività ludico-sportive senza limitazioni.
I vantaggi, a nostro avviso, con questa metodica, sono stati la semplicità e la ripetibilità della tecnica, la stabilità della sintesi dinamica.
Il difetto di questa metodica potrebbe essere l’insulto anche se minimo, per la cartilagine di coniugazione, da noi peraltro non riscontrato agli esami strumentali eseguiti. Per ovviare ad una eventuale interferenza con la cartilagine di coniugazione riteniamo di dover rimuovere l’impianto dopo 6-8 mesi. ■