Record e limiti umani
P. E. di Prampero


XVIII edizione
del Congresso Internazionale
di Riabilitazione Sportiva
e Traumatologia

Il ritorno allo sport: aspetti psicologici
S. Della Vill
Strategie di trattamento delle lesioni cartilaginee
in atleti professionisti: ripristino sportivo sul campo

F. Tencone
Le richieste della persona comune
S. Respizzi, G. Galimberti
La riabilitazione dopo intervento di protesi di ginocchio:
l’esperienza italiana

M. Zanobbi

L’evoluzione artrosica:
l’esercizio fisico

F. Ponteggia


Valutazione della stabilità del ginocchio
mediante utilizzo di misure neuromuscolari in calciatori

L. Rusu, S. Cernaianu, M. Vasilescu, G. Baltac, D. Ciocanescu, C. Fortan
Recupero funzionale in palestra e sul campo
dopo trapianto di condrociti in uno spotivo

E. Sarli

L’International Knee Society Rating System come strumento di valutazione negli esiti chirurgici per protesi articolare di ginocchioS. Maffioletti, G. Alberti


Utilizzo di condroprotettori nei pazienti sportivi
R. Tavana
Asma bronchiale & sport
V. Frigo
La parola al radiologo
La pubalgia nello sport:
alcune cause infrequenti

C. Faletti
Argomenti in Medicina dello Sport
Approccio razionale
al calo prestativo dell’atleta

M. Manara - S. Mazzoni
Importanza della valutazione della composizione corporea nei calciatori
C. Orlandi
Il Centro Performance
nella realtà sportiva
di Siena e provincia

G. Martelli


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Anno 9 - Numero 2 - 2009
IL MEDICO SPORTIVO
Periodico di aggiornamento scientifico e
professionale

Approccio razionale al calo prestativo dell’atleta
M. Manara - Medico Sociale AC Milan (Prima Squadra)
S. Mazzoni - Medico Sociale AC Milan (Primavera)

Quante volte capita, nell’attività quotidiana di un medico dello sport, di confrontarsi con atleti che riferiscono una diminuzione delle loro performance sportive?
Agli atleti professionisti sono richieste prestazioni fisiche di alto livello con maggiore continuità e frequenza, non più, come avveniva in passato, solo in maniera finalizzata e programmata a qualche importante competizione annuale. I calendari agonistici sono più ricchi di gare di alto livello e, a fronte della diminuzione degli allenamenti, diventa molto complicato programmare la stagione.
Ciò accade sia negli sport individuali come il ciclismo (Jeukendrup et al. 1992), la maratona (Morgan, Brown et al. 1987), il nuoto (Jeukendrup, Hesselink et al. 1992; Hooper, McKinnon et al. 1993 e 1995), il tennis, …. sia negli sport di squadra, come il calcio (Lehmann, Schnee et al. 1992).
Il fenomeno non riguarda solo gli atleti professionisti, ma anche i dilettanti e persino gli amatori (ciclisti, allenamento con i pesi - Fry e Morton, 1991).


Per far fronte a questi impegni gli atleti si devono sottoporre a carichi di lavoro molto intensi, intesi sia come allenamenti sia come competizioni, che comportano un’enorme fonte di stress psico-fisico.
Ovvio che la diminuzione dei risultati sportivi venga percepita come un pericolo al prosieguo della propria carriera sportiva, ai guadagni economici, al prestigio personale. Inoltre la ricerca spasmodica di competere ai vertici di una disciplina sportiva può indurre a perseguire vie illecite e pericolose per la salute (doping).
Il compito del medico sportivo è quello di individuare le reali cause del calo prestativo, consapevole del notevole impatto emotivo che la situazione abbia sull’atleta e sull’ambiente che lo circonda. Tale componente di stress psicologico può essere sia causa / concausa della situazione oppure sia conseguenza / complicazione della stessa.
Nell’approccio medico al problema si deve inoltre tenere conto della confusione esistente, anche in letteratura scientifica, tra condizioni simili con denominatore comune il calo di performance, come la Sindrome da Sovrallenamento (o Overtraining), la situazione di Overreaching, la Sindrome della Fatica Cronica.
Troppo spesso e con superficialità si giustifica la carenza di risultati con un non meglio specificato sovrallenamento. Lo stesso termine “Overtraining” implica che l’eccesso di allenamento sia la sola causa. In realtà le cause sono ignote e multifattoriali. In una review dal titolo provocatorio “Does overtraining exists?” (Halson e Jeukendrup, 2004), viene evidenziato come la letteratura scientifica settoriale sia da interpretare con cautela: di solito il sovrallenamento viene indotto per via sperimentale aumentando per un periodo da 3 a 6 settimane il volume e l’intensità degli allenamenti. La Sindrome da Sovrallenamento è identificabile solo in presenza di un calo prestativo protratto per diverse settimane o mesi, anche a seguito di una notevole diminuzione del carico di lavoro. In molti studi (Hedelin e coll. 2000), invece, il ripristino della capacità prestativa avviene in 2-3 settimane di recupero, suggerendo una situazione di “non-functional overreaching” piuttosto che di “overtraining”. A volte l’overreaching rientra nella stessa strategia di allenamento degli atleti (Fitz-Clarke, Morton et al. 1991; Steinacker, Lormes et al. 2000; Halson, Bridge et al. 2002): dopo un periodo di recupero di circa 2 settimane (definito scarico o tapering), infatti, si ottiene normalmente il ripristino o il miglioramento della performance (“functional overreaching”).
Secondo gli autori tale incongruenza di fondo potrebbe spiegare la difficoltà ad oggi riscontrata nel quantificare la durata del recupero e nell’identificare marker biochimici e fisiologici univoci per prevenire la Sindrome da Sovrallenamento.
Sempre in letteratura scientifica molto spesso sono reclutati ad atleti sovrallenati sportivi affetti da varie infezioni virali (ad es. mononucleosi. Glaser et al. 2005).
L’esclusione di infezioni virali misconosciute (Epstein-Barr virus, citomegalovirus, etc.) che possano dare una sintomatologia simile al sovrallenamento (ndr: “Sindrome della Fatica Cronica”. Prins et al. 2006; Devanur e Kerr, 2006; Pearce, 2006; Whiting et al. 2001; Straus 2004) è un passaggio diagnostico fondamentale.
In sintesi la Sindrome da Sovrallenamento è definita come un periodo lungo (settimane o mesi) durante cui persiste un calo della capacità prestativa dell’atleta (Smith, 2003) che può perdurare molte settimane, mesi o addirittura anni (Urhausen e Kindermann, 2002; Halson e Jeukendrup, 2004). Sinonimi di Overtraining in letteratura scientifica sono Overwork, Staleness, Worn-out, Burn-out, Overstress, Overfatigue. Il malessere non coinvolge solo la sfera competitiva (gare e allenamenti) ma anche la vita quotidiana. Il “sovrallenato” può manifestare oltre 250 sintomi, tra i più comuni: depressione (Armstrong e VanHeest, 2002), apatia, disturbi del sonno, maggiore incidenza di infezioni delle vie aeree, diminuzione del massimo consumo di ossigeno, alterazioni ormonali dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene, iposensibilità alle catecolamine, alterazioni dei volumi plasmatici, diminuzione dell’eccitabilità neuromuscolare, alterazioni delle caratteristiche reologiche del sangue, etc. (Kuipers e Keizer, 1988; Fry, Morton et al. 1991; Grove et al. 1994; Hooper e Mackinnon, 1995; Kentta e Hassmen, 1998; Bosquet et al. 2001).
Sebbene sia chiaro che il sovrallenamento sia causato da uno squilibrio tra stimolo allenante e capacità di recupero (Viru e Viru, 2000), dai sintomi riportati sopra si evince che non è chiara la fisiopatologia (Smith, 2002; Robson, 2003) della sindrome né, tantomeno, sono stati identificati in modo univoco dei marker per la sua prevenzione (Varlet-Marie, 2004). Budgett e coll. (2000) ne hanno persino proposto una redifinizione in “Inspiegabile Sindrome da Sottoprestazione”.
La letteratura scientifica è invece concorde nel ritenere la diminuzione o sospensione dell’allenamento come il principale e più efficace trattamento della sindrome da sovrallenamento (Pearce, 2002).
A prescindere dai problemi di inquadramento nosologico, la Sindrome da Sovrallenamento sta sempre più divenendo un problema dal forte impatto sociale. I dati epidemiologici riportati negli studi succitati evidenziano la serietà e diffusione della questione: più del 60% dei corridori a piedi, il 21% dei nuotatori della squadra australiana durante 6 mesi di stagione, più del 50% dei calciatori durante 4 mesi di stagione agonistica.
La diagnosi di Overtraining, secondo le linee guida diramate nel 2006 da una task force di ricercatori europei, tra i quali Meeusen (ECSS Position Statement: Prevention, Diagnosis and Treatment of the Overtraining Sindrome) si fonda sul principio dell’esclusione, ovvero si può parlare di sovrallenamento se vi è:


In tale iter diagnostico il medico dello sport assume un ruolo essenziale.
Difatti l’approccio all’atleta non può prescindere da un’attenta ed accurata visita medica, in particolare dalla storia anamnestica, che deve essere raccolta in modo minuzioso. Il sospetto di sovrallenamento è valido se, da settimane o mesi, l’atleta riferisce una sintomatologia che soddisfi entrambi i criteri 1 e 2 sotto-riportati e almeno altri due dei criteri da 3 a 9:


Inoltre esistono dei questionari specifici sul Sovrallenamento che sono estremamente utili nella raccolta dei dati anamnestici. Come esempio riportiamo l’Overtraining Questionnaire, tradotto da un articolo di Varlet-Marie e collaboratori del 2004 (Hemorheological disturbances in the overtraining syndrome).
Si considera il risultato positivo per Sindrome da Sovrallenamento se le risposte affermative sono più di 20 (Tabella 1).

Gli esami del sangue sono essenziali per la corretta diagnosi e per la diagnosi di esclusione di Sovrallenamento (infezioni di origine virale per escludere sintomi da sindromi post-virali; presenza di altre patologie di varia natura).
Negli atleti di alto livello è nostro parere non ci si possa limitare agli esami ematici di routine.
In particolare:
per lo studio dell’eritropoiesi, la ricerca di uno stato anemico e/o sidero-carenziale oltre all’esame emocromocitometrico o ai valori di sideremia e ferritina, anche i reticolociti, la transferrina, il recettore solubile della stessa e la TIBC devono essere indagati:

L’elenco consigliato comprende la valutazione della glicemia, della funzionalità epatica e renale, del profilo lipidico.
Trattandosi di atleti che lamentano uno stato di affaticamento è particolarmente importante
escludere uno stato anemico, una sideropenia o entrambe.
Perciò la maggiore attenzione va posta all’emocromo (numero di globuli rossi, la concentrazione di emoglobina [Hb], l’ematocrito Ht, il volume corpuscolare medio MCV) oltre che alle scorte di ferro (ferritina) ed al ferro circolante (sideremia). Per indagare in maniera più completa l’eritropoiesi ed il metabolismo del ferro, sono anche richiesti i reticolociti, la transferrina, il recettore solubile della stessa e la TIBC.
Inoltre sono misurati gli enzimi di lisi muscolare (CK, LDH) e la produzione dei radicali liberi.
VES e PCR sono indice aspecifici di infiammazione e, se alterati, possono porre il sospetto di una infezione in corso (vedere punto successivo).
Essenziale, invece, escludere le infezioni più comuni, soprattutto virali, citomegalovirus ed Epstein-Barr virus su tutte. Se la malattia è in corso (IgM positive) la diagnosi risulta facile; difficile invece retro-datare l’infezione sulla base dei livelli anticorpali IgG presenti. Da questo punto di vista sarebbe davvero utilissimo che i medici che seguono gli atleti di alto livello (medici dello sport, medici di squadra), annualmente, controllino il profilo immunologico del proprio assistito. Ciò sarebbe d’ausilio nella prevenzione delle Sindromi Post-Virali e della stessa Sindrome da Sovrallenamento.
Insieme agli indici di flogosi VES e PCR sono da escludere le infezioni più comuni:


La mononucleosi è una delle infezioni più comuni e diffuse ma, essendo caratterizzata da sintomi aspecifici come l’astenia, è spesso non diagnosticata e misconosciuta.
Molti atleti ritenuti sovrallenati, in realtà manifestano i sintomi nel quadro clinico di una sindrome post-virale.
Se non si è in possesso di esami precedenti, è sempre molto complicato retrodatare il primo contagio. È per questo motivo che oltre ai classici anticorpi della memoria (IgG) o di infezione recente (IgM), nel profilo anticorpale della mononucleosi è utile richiedere anche gli anticorpi antiEBV EA Early e le IgG EBNA.

La ricerca degli ormoni è sicuramente utile se si sospetta dall’anamnesi una patologia endocrina (es. funzionalità tiroidea). Invece lo studio della risposta ormonale all’esercizio, in particolare di ACTH, cortisolo, GH e prolattina, ci pare di difficile interpretazione: mentre in letteratura si concorda sui risultati in atleti ed atleti overreaching, ancora pochi sono i dati sugli atleti overtrained, spesso trattati come case report e non sempre provenienti da discipline sportive di endurance (Meeusen et al. 2004).

In conclusione generalmente gli atleti che riferiscono un calo prestativo, sovrallenati o presunti tali, sono di difficile gestione sia dal punto di vista medico sia atletico sia psicologico. La difficoltà oggettiva nel trovare cause e soluzioni al calo di performance altro non fanno che peggiorare lo stato d’animo dell’atleta, inducendolo ad abbandonare l’attività sportiva o all’utilizzo di pratiche illecite (doping).
Il medico dello sport ha un ruolo determinante sia nella diagnosi di esclusione (una corretta valutazione medico-anamnestica, esami ematici mirati soprattutto il profilo immunologico, la somministrazione di questionari specifici possono rilevarsi dirimenti per un corretto “inquadramento” nosologico del problema) sia nella strategia terapeutica da adottare, che generalmente è la modulazione dei carichi di lavoro somministrati dal preparatore atletico alternata al riposo, con l’eventuale utilizzo di integratori alimentari. ■

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