Il ruolo fondamentale
della fase di riscaldamento nello sport

C. Giammattei,
E. Castellacci


Paralimpiadi 2008: quando lo sport è davvero per tutti
M. Noseda

La traumatologia
pediatrica

M. Paonessa

L’importanza della fase di riscaldamento nell’attività sportiva
A cura della redazione de
Il Medico Sportivo

Argomenti
in Medicina dello Sport

Training ed overtraining

G. Galanti, L. Stefani

La parola al radiologo
Ossicalcificazioni
intramuscolari circoscritte (OICPT) da traumi
sportivi acuti

F. Rossi

Olimpiadi Pechino 2008: tutti i numeri della più importante manifestazione sportiva internazionale
M. Noseda



I NOSTRI
INSERZIONISTI
 
Clody
 
Dicloreum Tissugel
 
Difix
 
Esaote
 
Fortradol
 
Fastum Gel
 
Jointex
 
Jointex Starter
 
Kolibry
 
Ligatender
 
Synviscone
 
Ubimaior
 









Anno 8 - Numero 4 - 2008
IL MEDICO SPORTIVO
Periodico di aggiornamento scientifico e
professionale

Training ed overtraining

g. galanti*, L. Stefani**
* Professore Ordinario di Medicina Interna – Direttore della Scuola di Specializzazione in Medicina dello Sport - Università degli Studi di Firenze.
Direttore Agenzia di Medicina dello Sport - Università degli Studi di Firenze
** Dirigente Medico AOUC- Agenzia di Medicina dello Sport - Università degli Studi di Firenze

L’ allenamento è quel complesso processo che, a seguito di un progressivo incremento della intensità e del carico dell’ esercizio fisico, conduce gli atleti a migliorare la propria performance, ma anche ad incrementare l’ efficienza e la tolleranza verso lo stress fisico fino all’ adattamento all’ attività fisica continuata. Tale processo è fortemente specifico e dipendente dalla modalità ma anche dalla frequenza dell’ allenamento stesso e la sua diretta conseguenza è il raggiungimento, in termini generici, di un buon stato di salute, che nello specifico dell’ attività sportiva viene definito come “stato di forma” o meglio “condizione atletica”. L’ allenamento si caratterizza invece per “ volume ed intensità “

Volume dell’allenamento
Molti studi sono stati effettuati su sportivi come i nuotatori per la valutazione del volume dell’ allenamento e da questi è emerso che l’incremento del volume è dovuto ad un aumento sia della durata che della frequenza dell’ allenamento stesso. E’ stato dimostrato che un allenamento di 3-4 ore al giorno per 5 – 6 g la settimana non migliora la performance più di quanto non possa garantire l’ esercizio di 1 o ? ora al giorno. Pochi autori hanno fin ora confrontato i risultati riguardo alle prestazioni di una attività fisica giornaliera ma ripetuta nella giornata, verso quella effettuata invece una volta: nel primo caso si ha una performance migliore che nella seconda ipotesi. L’ interesse di alcuni studi è stato volto anche ad analizzare gli effetti e l’ influenza dell’ allenamento intenso nel breve termine, rispetto al training a lungo termine nei confronti del miglioramento della performance dimostrando che gli adattamenti morfologici e funzionali che si verificano nel secondo caso sono in termini di performance più vantaggiosi.

Intensità dell’allenamento
L’intensità dell’allenamento è un evento invece collegato alla forza ed alla attività muscolare. L’intensità della attività muscolare è maggiore quando i muscoli esercitano la massima tensione contro una resistenza. In questo modo i muscoli diventano più forti anche se la loro capacità aerobica rimane invariata. D’altra parte quando l’intensità della forza muscolare si riduce e l’ attività muscolare aumenta in frequenza, così come nella corsa e nel nuoto, il sistema anaerobico di energia muscolare si incrementa e con questo anche il consumo massimo di ossigeno ( VO2 max) . Proprio per questo motivo siamo soliti collegare concettualmente” l’ intensità” alla “ capacità di generare energia “, ma anche alla percentuale del VO2 max raggiunto per persona.
Dal punto di vista dell’ training, quindi, il termine stato di forma, racchiude in sé l’insieme di quelle caratteristiche cardiorespiratorie, neuromuscolari, psicologiche, non solo di base ma anche acquisite nel tempo, che permettono all’ atleta di effettuare la prestazione con il massimo rendimento. E‘ bene sottolineare quindi che il complesso processo dell’ allenamento porta allo stato di forma quando si realizzano quei meccanismi di omeostasi metabolica per i quali il sistema anche ormonale, che viene attivato fisiologicamente durante l’ esercizio fisico, rappresenta uno dei fattori regolatori.



Effetti fisiologici dell’ esercizio fisico sul metabolismo
gluidico e lipidico.

Dal punto di vista metabolico i carboidrati e gli acidi grassi rappresentano il substrato metabolico massimamente responsabile del mantenimento di alti i livelli di ATP muscolare durante l’ esercizio prolungato. D’ altra parte il glucosio, che rappresenta la massima fonte di energia di primo impiego per l’ attività fisica, è accumulato sotto forma di glicogeno al livello sia muscolare che epatico.
Rispetto ai carboidrati, gli acidi grassi tuttavia contribuiscono in modo minore a garantire il supporto energetico richiesto dai muscoli durante l’ esercizio fisico. Tale metabolismo entra in funzione quando le riserve dei carboidrati si riducono e quindi il sistema endocrino attiva la ossidazione dei grassi. Gli acidi grassi sono normalmente accumulati come trigliceridi negli adipociti ed all’ interno delle fibre muscolari, da qui possono essere liberati e trasportati in circolo. I trigliceridi sono poi ridotti ad acidi grassi e glicerolo da un enzima speciale chiamato lipasi.

Omeostasi dei liquidi e degli elettroliti
L’equilibrio dei fluidi durante esercizio fisico è di fondamentale importanza per mantenere le funzioni cardiovascolari e termoregolatorie in condizioni ottimali. Normalmente durante l’ attività fisica si assiste ad uno spostamento dal circolo verso l’ interstizio e gli spazi intracellulari. L’ acqua in modo particolare si accumula in corrispondenza delle fibre muscolari ed anche all’ interno di queste incrementando la pressione osmotica. Contemporaneamente durante l’ esercizio fisico aumenta anche la sudorazione pertanto la combinazione di questi due effetti fa si che i muscoli si arricchiscano di acqua a discapito del distretto plasmatici. Il sistema endocrino gioca il ruolo fondamentale nell’ equilibrio elettrolitico in modo particolare per quanto riguarda il sodio. La riduzione dei liquidi dal circolo plasmatico determina anche un calo della pressione arteriosa e questa condizione insieme all’aumento dei liquidi al livello cutaneo e muscolare, è responsabile di una riduzione della performance atletica.
D’altra parte come diretta conseguenza della perdita dell’ acqua si ha un aumento della osmolarità plasmatica oltre 300 mosm, che rappresenta lo stimolo maggiore per il rilascio dell’ormone antidiuretico (ADH) dalla ipofisi posteriore

Bilancia simpato - vagale
L’esercizio fisico determina un incremento fisiologico della frequenza cardiaca che è direttamente proporzionale all’ intensità dell’ esercizio stesso. La frequenza cardiaca massima è quel valore massimo di frequenza che si raggiunge all’acme dello sforzo.Tale valore può essere stimato considerando l’ età e sottraendola a 220 dal momento che è un dato noto in letteratura che la frequenza cardiaca diminuisce di circa 1 battito all’ anno a partire dai 10 – 15 anni. E’ importante inoltre considerare che il cuore tende a raggiungere, per livelli di esercizio e di lavoro diversi, uno “ steady state” che si modifica in rapporto all’ intensità dell’ esercizio. Il concetto della frequenza allo steady state è importante in quanto rappresenta la base per i tests che sono stati messi a punto per valutare le varie performance. In condizioni normali l’ attività cardiaca è soggetta al controllo di tre sistemi: sistema nervoso simpatico, parasimpatico e sistema endocrino. Il sistema nervoso simpatico è responsabile dell’ aumento della frequenza e della contrattilità cardiaca, della dilatazione delle coronarie e dei vasi periferici,dell’ incremento della pressione arteriosa e di molti altri meccanismi sia metabolici, come la liberazione del glucosio dal fegato, che psicologici in grado di garantire un aumento della concentrazione, un miglioramento della sensibilità alla percezione degli stimoli e così via. In sostanza il sistema nervoso simpatico trasmette impulsi continui al livello vascolare determinando effetti nella maggior parte dei casi vasocostrittori per mantenere una adeguata pressione nel sangue. Si tratta di quello che viene definito come “tono vasomotore”, una sorta di equilibrio costante che si stabilisce e si modifica nel tempo in rapporto alle esigenze del momento tra il flusso di sangue ed il tono vascolare. In certi condizioni di aumento delle richieste di flusso ematico, come nel caso della attività fisica continuata, l’ effetto del sistema nervoso simpatico è invece vasodilatante al livello sia cardiaco che dei muscoli scheletrici.
Il sistema nervoso parasimpatico invece svolge il suo ruolo fondamentale nel garantire il controllo di processi fisiologici come la digestione, la funzione urinaria, la secrezione delle ghiandole. In realtà si tratta di un sistema che è più attivo quando l’ organismo è a riposo ed in un certo senso si oppone al sistema nervoso simpatico. Gli effetti del sistema nervoso parasimpatico che più interessano e si manifestano da un punto di vista dell’ attività sportiva sono la riduzione della frequenza cardiaca, la vasocostrizione coronaria, l’ ipotensione e la broncocostrizione. In condizioni normali è il tono vagale a predominare sull’ attività cardiaca attraverso un meccanismo riflesso che fa sì che il cuore non lavori di base inutilmente in maniera troppo intensa tanto è vero che la vagotomia annulla tali effetti di bradicardia ed ipotensione. La circolazione e la respirazione, con cui è strettamente correlata, sono entrambe basate su eventi discontinui e caratterizzate da oscillazioni di vario ordine. Sofisticate tecniche hanno offerto la possibilità di quantificare le piccole oscillazioni spontanee che sono presenti battito per battito nelle variabili cardiovascolari. Tale quantificazione ha suscitato un crescente interesse nell’ipotesi che le oscillazioni ritmiche possano fornire informazioni circa i meccanismi nervosi di regolazione che di esse sono causa. L’ analisi spettrale della variabilità della frequenza cardiaca e più di recente anche della pressione arteriosa, forniscono uno strumento con cui è possibile valutare alcuni meccanismi di regolazione nervosa cardiovascolare o per meglio dire sono in grado di fornire una sorta di valutazione globale dell’equilibrio simpato-vagale così come si riflette sulle variabili cardiovascolari.

Overtraining: una sindrome
E’ bene sempre quantificare l’allenamento sportivo dal momento che, a fronte di una richiesta di allenamento che conduca ad una valida prestazione, il superallenamento (overtraining) provoca effetti avversi che si traducono in alterazioni dell’ equilibrio ormonale come il calo dei livelli plasmatici di testosterone e di tiroxina ed aumento dei livelli di cortisolo, alterazioni immunologiche come la riduzione del potere immunitario con calo dei livelli di IgA, dei neutrofili e dei linfociti TNK ed aumentato rischio infettivo, alterazioni dell’ equilibrio psicologico e cardiovascolare fino alla concretizzazione di una vera e propria sindrome caratterizzata da movimento enzimatico, modificazioni ECG, alterazioni del consumo di ossigeno.
L’ atleta si trova di fronte ad un progressivo declino della propria performance che si associa a stanchezza, depressione, irritabilità difficoltà alla concentrazione, ansia e turbe del ritmo sonno veglia. Tale quadro clinico deve essere ben distinto dal semplice stato di affaticamento in cui la “temporanea “riduzione della capacità fisica regredisce con il riposo.
Studi dimostrano che non esistono significative differenze, in termini di prestazione fisica, fra atleti che si allenano secondo schemi classici e quelli che si allenano secondo carichi di lavoro maggiori. Gli atleti che manifestano la sindrome da overtraining sono in genere quelli che esercitano più sport contemporaneamente ma anche i maratoneti che rappresentano una categoria di sportivi che spesso presenta anche un disturbo della personalità di tipo ossessivo compulsivo che si manifesta ad esempio nell’impegno al raggiungimento degli obiettivi di allenamento quotidiani.
In questo caso l’intensità dell’allenamento si correla sia all’aumento della resistenza muscolare che al potenziamento delle funzioni cardiovascolari ed è tipicamente caratterizzato da un aumento del consumo di ossigeno che normalmente raggiunge un massimo fino al 50 %-90% e determina in molti un miglioramento della capacità aerobia. In realtà pochi atleti sono sotto allenati, ma sfortunatamente molti sono super allenati credendo erroneamente che un eccessivo allenamento possa produrre miglioramento.
Il super allenamento è quindi uno stato in cui si oltrepassa la soglia del benessere. Spesso è indotto da motivazioni di ordine psicologico come la necessità sfrenata di competizione, il desiderio di vincere, la paura dell’ insuccesso, la ricerca irrealizzabile di obiettivi troppo alti. Questo si traduce in una perdita di prestazione accompagnata ad una progressiva perdita del desiderio di competizione e di entusiasmo. In questo strenuo cammino verso l’eccessivo esercizio, viene progressivamente persa la capacità dell’ organismo di recuperare e di adattarsi e quindi si sviluppa una vera e propria “sindrome da superallenamento “ in cui il catabolismo predomina sull’ anabolismo. Dal punto di vista dell’ equilibrio simpato vagale, il super allenamento è caratterizzato da un aumento dell’ attività simpatica a riposo che si manifesta con un aumento della frequenza cardiaca, diminuzione dell’ appetito, della faticabilità e da un decremento dell’ attività parasimpatica caratterizzato dalla comparsa di lunghi periodi di depressione, alterazioni del ritmo sonno-veglia, rapida riduzione della frequenza cardiaca dopo esercizio fisico e dei valori della pressione arteriosa a riposo. La diagnosi di sindrome da super allenamento è speso difficile e può essere stabilita non solo sulla base di un accurato esame clinico che escluda altre patologie, ma anche sulla base di alcuni parametri clinici e strumentali tra i quali le modificazioni ECG con inversione della onda T oltre che sulla base di quei parametri ematochimici costituiti da un incremento dei livelli di lattato per carichi fissi. Il criterio predittivo più valido della sindrome da superallenamento sembra essere comunque l’alterato comportamento della risposta della frequenza cardiaca per carichi di lavoro fissi.
In genere l’ atleta è in grado di recuperare il proprio equilibrio ed uscire dalla sindrome da overtraining dopo un totale periodo di riposo e di detraining.
Il miglior programma per ridurre i rischi di cadere nelle sindrome da overtraining, è quello di sottoporsi a schemi di allenamento in cui si alternino periodi di allenamento modesti a periodi di allenamento intensi. E’ importante comunque che gli atleti pongano attenzione all’ introito di glucosio per mantenere sempre nel tempo le riserve di glicogeno. D’altra parte se è vera l’affermazione di Ippocrate che dice che “se fossimo in grado di fornire a tutti la giusta dose di esercizio fisico avremmo trovato la strada della salute”, bisogna invece considerare che durante le varie stagioni dell’anno si assiste ad una andamento variabile e non costante della performance atletica con una tendenza in genere ad un picco massimo tra dicembre e gennaio.
E’ importante quindi considerare che nel complesso, per una adeguata preparazione atletica, lo sportivo abbia a disposizione un “Team” in cui l’ allenatore, li medico e la famiglia siano ben presenti e quindi rappresentino il sostegno che lo aiuti a far fronte alle varie problematiche fisiche, psicologiche, comportamentali che l’attività sportiva continuata può porre. n

Bibliografia essenziale
Hartley LH, Mason JW, Hogan RP, Jones LG, Kotchen TA, Mongey EH, Wherry FE, Pennington LL, Ricketts PT. Multiple hormonal responses to prolonged exercise in relation to physical training. J Appl Physiol 1972; 33:607-610.

HANSEN, A. M., A. H. GARDE, L. T. SKOVGAARD, and J. M. CHRISTENSEN. Seasonal and biological variation of urinary epinephrine, norepinephrine, and cortisol in healthy women. Clin. Chim. Acta 309:25–35, 2001.

Gyntleberg F, Rennie MJ, Hickson RC, Holloszy JO. Effect of training on the response of plasma glucagon to exercise. J Appl Physiol 1977; 43:302-305.

Poehlmann ET, Tremblay A, Nadeau J, Dussault J, Theriault G, Bouchard C. Heredity and changes in hormones and metabolic rates with short-term training. Am J Physiol 1986; 250:E711-E717.

Helyar R, Green H, Zappe D, Sutton J. Blood metabolite and catecholamine responses to prolonged exercise following either acute plasma volume expansion or short-term training. Eur J Appl Physiol 1997; 75:268-273.

ATLAOUI, D., M. DUCLOS, C. GOUARNE, L. LACOSTE, F. BARALE, and J. C. CHATARD. The24-h urinary cortisol/cortisone ratio for monitoring training in elite swimmers. Med.Sci. Sports Exerc. 36:218– 224, 2004.

IELLAMO, F., F. PIGOZZI, A. SPATARO, D. LUCINI, AND M. PAGANI. T-wave and heart rate variability changes to assess training in world-class athletes. Med. Sci. Sports Exerc. 36:1342–1346. 2004.


top