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La traumatologia
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Anno 7 - Numero 2 - 2007
IL MEDICO SPORTIVO
Periodico di aggiornamento scientifico e
professionale

La traumatologia nel Rugby

Vincenzo M. Ieracitano
Università degli Studi di Genova, Scuola di Specializzazione in Chirurgia Generale “Trattamento del politraumatizzato”
Corso di Laurea in Scienze Motorie “Sport di squadra: Rugby”, U.O. di Chirurgia d’Urgenza D.E.A., A.O.U. S. Martino Genova
Federazione Italiana Rugby, Commissione Medica
Marco V. Giacobbe
Università degli Studi di Genova; Facoltà di Medicina e Chirurgia, Corso di Laurea in Scienze Motorie
Federazione Italiana Rugby; Nazionale Under 21

INTRODUZIONE
Il rugby, sport denso di ideali e di valori, di spirito di socializzazione, di esempio di comportamento morale che, al di là dell’impegno agonistico, diventa esempio per la vita, rimane pur sempre sport di combattimento.
È uno sport di squadra giocato da 15 giocatori, con ruoli e qualità fisiche antropometriche molto differenti, dove è ammesso il contatto fisico.
L’altezza, il peso e le caratteristiche di forza e velocità dei giocatori variano molto per le esigenze diverse che i vari ruoli richiedono.
Questo sport, nato nel 1823 per un’intuizione di William Webb Ellis, è rimasto ufficialmente uno sport dilettantistico sino al luglio del 1995, quando l’IRB (International Rugby Board) ne ufficializzò il passaggio a sport professionistico.
Il cambiamento ha portato ad un gioco sempre più fisico, veloce e tecnico e con un numero di incontri e di competizioni sempre maggiore, per accontentare pubblico, sponsor e i media.
Di pari passo è stato necessario sviluppare nuove modalità e tecniche di allenamento e di cura dei giocatori sempre più impegnati e sottoposti a grandi carichi di lavoro.
Attraverso l’analisi dei dati epidemiologici raccolti per 10 anni dalla ACC (Accident Compensation Corporation), società nazionale di assicurazioni neo-zelandese, è possibile vedere quali cambiamenti ci siano stati nell’infortunistica a seguito di questo epocale passaggio.
La tabella 1 e il grafico 1 si riferiscono al numero d’infortuni denunciati anno per anno (nuovi e in trattamento) dal 1994 al 2004 ed al loro costo complessivo in migliaia di dollari e ci aiutano a vedere meglio come, con il passare del tempo, grazie alle nuove tendenze in campo di prevenzione e riabilitazione, i nuovi infortuni, soprattutto gravi, siano diminuiti.


EPIDEMIOLOGIA
Conclusa la necessaria premessa, è utile capire quali aspetti del gioco siano da analizzare per permettere di pianificare, da un punto di vista scientifico, protocolli e linee guida per una corretta riduzione del rischio e per la formulazione di trattamenti riabilitativi sempre più adeguati ed efficienti.
Il primo aspetto dell’analisi riguarda la frequenza e la tipologia degli infortuni subiti e la sede anatomica interessata (Fig.1), seguito dalle fasi di gioco maggiormente a rischio e dai ruoli più esposti ad un eventuale trauma; in ultimo l’età durante la quale una tipologia di infortunio è più frequente.
Tutto ciò permette di avere un’idea sul tipo di lesione che può verificarsi in una determinata fase di gioco (ad esempio, durante un placcaggio piuttosto che sugli esiti di una mischia), di prevedere e quindi cercare di prevenire gli infortuni a cui sono maggiormente esposti le diverse categorie di giocatori.
Per osservare come variano le sedi d’infortunio in rapporto al livello di gioco abbiamo utilizzato lo studio di J. Orchards (UNSW Sports Medicine Unit) realizzato per conto dell’Australian Rugby Union e del NSW Sporting Injuries Comittee (grafico n. 2).
Dall’analisi dei dati risalta notevolmente sia come gli infortuni agli arti inferiori siano in assoluto i più frequenti, sia la significativa differenza di infortunati alla testa e/o al collo tra squadre meno e più tecniche: le prime hanno una media di circa 22 assenze su cento partite a causa di questo tipo di lesioni, le altre rasentano il 7,7%.
Dai dati che analizzano l’incidenza di infortuni per partita (tab. n.2), si evince che il maggior numero di traumi è a carico della regione cranio-cervicale. Anche qui si può notare in che modo, al variare di categoria, variano le sedi anatomiche interessate: come prima, le categorie di livello inferiore hanno un’incidenza degli infortuni a testa e collo più alta (8,8% per le giovanili e 5,1% per i campionati provinciali).
Tra le fasi di gioco, contrariamente a quanto si possa pensare, quella relativa al placcaggio è la più a rischio; seguita dai raggruppamenti e dalle mischie.
L’ultimo aspetto da esaminare consiste nell’individuare quale può essere l’età e il grado di esperienza nella quale è più facile incorrere in un infortunio.
Come si è già desunto dalle tabelle riportate, i giovani giocatori hanno una maggiore probabilità di infortunarsi, sia per la loro scarsa esperienza, sia per la minore preparazione tecnica e fisica.
Un importante studio portato a termine durante la Coppa del Mondo in Australia nel 2003 (tabella n. 3), grazie alla collaborazione di tutti i medici responsabili delle 20 rappresentative nazionali partecipanti alla fase finale, ha fornito i seguenti dati epidemiologici: gli infortuni più frequenti sono stati quelli a carico di testa, faccia e collo (33,7%) seguiti da quelli a carico di caviglia e piede (14%) e ginocchio (12%); le ferite lacero-contuse (21,7%) e le contusioni (20,1%) hanno rappresentato i più comuni tipi di infortunio; il placcaggio, in particolare placcare (20,6%) ed essere placcato (19,1), ha rappresentato la fase più a rischio.
Il 70% degli infortuni è stato classificato come lieve (il giocatore è stato costretto ad abbandonare il campo e/o a non essere disponibile per l’incontro successivo), il 14% come moderato ( il giocatore è stato indisponibile per 2/3 incontri), il 16% come severo (il giocatore è stato indisponibile per più di 3 gare).
La media degli infortuni avvenuti nel primo tempo è sensibilmente minore di quella del secondo tempo (61%) e il maggior numero (38%) degli infortuni sono avvenuti nel terzo quarto di gioco (prevalentemente di infortuni minori es. stiramenti muscolari).
Il 43% degli infortuni severi sono avvenuti nel secondo quarto di gioco (fine del primo tempo).
In base al ruolo dei giocatori infortunati possiamo dire che le terze linee ed i centri esterni sono i più a rischio e che non vi sono significative differenze tra avanti e trequarti. I giocatori di prima linea, i mediani ed i centri interni hanno una significativa incidenza di traumi contusivi a testa e faccia e distorsivi del collo, mentre sempre i mediani e questa volta anche gli altri trequarti hanno una discreta incidenza di traumi distorsivi di spalle e arti superiori (placcaggio in velocità). Da segnalare che i giocatori di prima linea denominati piloni destri sono incorsi in una serie di infortuni severi (17%) a carico della colonna cervicale. I traumi cervicali rappresentano la vera “spada di Damocle” nel rugby moderno.






TRAUMI CERVICALI
I traumi della colonna vertebrale ed in particolare del tratto cervicale sono gli infortuni più seri e drammatici che possono capitare sui campi da rugby. Rari in termini di incidenza i traumi vertebrali diventano rilevanti in relazione alle devastanti conseguenze per l’atleta e la comunità.
L’associazione tra questo tipo di lesione e la pratica del rugby è nota da più di un secolo ma è stato il vertiginoso incremento che questo tipo di infortuni ha avuto negli anni 70 e 80 a suscitare grande interesse e rilevanza nella ricerca medicosportiva degli ultimi 30 anni.
Le statistiche presenti in letteratura medico-scientifica non presentano univocità di metodi di raccolta dei dati e risultano difficilmente confrontabili. Emerge comunque inequivocabile la rilevanza, sia per frequenza che per gravità, che questi tipi di infortuni rivestono nella pratica del rugby.
Tra i fattori di rischio riteniamo opportuno evidenziare l’importanza che rivestono l’età, l’esperienza, la categoria e il ruolo assunto in campo.
Tutte le età sono interessate. Gli avanti e in particolar modo il pilone destro ed il tallonatore sono i ruoli maggiormente interessati da questi infortuni.
In questi ruoli, infatti, l’atleta è sottoposto sia al rischio comune agli altri ruoli, durante le fasi di gioco aperto, sia a quello della mischia ordinata. Le fasi di ingaggio, il crollo o lo “stappamento” (verso l’alto “popping”) sono i principali aspetti del rischio nella mischia.
Uno dei più frequenti meccanismi di lesione midollare riguarda l’iperflessione della colonna cervicale con esito di frattura e/o lussazione di C4/C5 o C5/C6. (I risultati di più studi epidemiologici condotti sull’incidenza dei traumi cervicali sono riassunti nelle tab. n. 4 e n. 5)
Il trauma spinale, se non viene individuato e adeguatamente trattato sul campo, può determinare un danno irreparabile e paralizzare per tutta la vita l’atleta coinvolto (fig. 4).
Da evidenziare che circa il 50% dei deficit neurologici insorgono dopo l’evento traumatico iniziale.
Alcuni atleti possono presentare un danno midollare immediato come conseguenza del trauma, altri possono avere una lesione alla colonna vertebrale che inizialmente non danneggia il midollo ma che può ledersi successivamente con i movimenti della colonna.
Consentire ad un atleta, che ha riportato un trauma vertebrale, di muoversi oppure spostarlo, in caso di una lesione spinale non riconosciuta, potrebbe avere conseguenze devastanti; conseguenze che assumono importanza rilevante anche dal punto di vista sociale.
Tra i criteri fondamentali su cui si basano i sistemi di prevenzione, appaiono fondamentali la stesura di linee guida affinché un’idonea gestione della fase di primo soccorso contribuisca a ridurre al minimo l’incidenza di tali eventi traumatici.
Ecco quindi che s’impone il consiglio di fornire a tutti i potenziali soccorritori (allenatori, preparatori, medici, fisioterapisti, massaggiatori ma anche arbitri, dirigenti accompagnatori) un idoneo percorso formativo di base.



SOVRACCARICO FUNZIONALE
La maggior parte degli infortuni come si è potuto notare è una conseguenza di un trauma acuto, ma non bisogna sottovalutare una non indifferente percentuale di patologia cronica dovuto a un sovraccarico funzionale.
I giocatori si sono dovuti adattare ad un gioco sempre più evoluto che richiede uno sforzo fisico e mentale sempre più consistente.
Anche lo stile di gioco è cambiato molto e continuerà ad essere in evoluzione richiedendo capacità tecniche ed atletiche sempre più complesse che andranno di pari passo e saranno imprescindibili, l’una dall’altra, per la “costruzione” del giocatore di rugby moderno.
La ripetizione di gesti sportivi e di movimenti specifici può, infatti, determinare un’azione meccanico-traumatica sulle strutture interessate. Inoltre, questi infortuni si possono verificare anche come conseguenza di uno o più traumi acuti e di allenamenti troppo gravosi.
Le patologie da sovraccarico funzionale più frequenti nel rugby sono:

• la sindrome dolorosa della spalla (lesione alla cuffia dei rotatori)
• la sindrome retto-adduttoria
• il jumper’s knee
• la tendinopatia dell’Achilleo
L’obiettivo della preparazione atletica è fornire stimoli allenanti che, provocando processi di adattamento, migliorino le prestazioni e la resistenza dei tessuti.
Viceversa stimoli allenanti che superino le capacità di adattamento possono predisporre o essere la causa primaria di una sindrome da sovraccarico.
Le forme di sollecitazione motoria che rappresentano i presupposti fondamentali per l’apprendimento e la realizzazione delle azioni motorie fisico sportive sono:
• le tre capacità condizionali (forza, velocità e resistenza) che si basano soprattutto su processi energetici
• le qualità coordinative, che si basano prevalentemente su processi nervosi centrali di regolazione e di controllo.
• la mobilità articolare, considerata qualità intermedia tra le prime due.

PREVENZIONE/RIABILITAZIONE/RECUPERO
La prevenzione svolge sicuramente un ruolo di primo piano: preparare bene gli atleti nelle qualità appena descritte e nel corretto gesto tecnico è sicuramente il primo passo per ridurre l’incidenza e la gravità degli infortuni.
La stretta collaborazione tra lo staff medico e quello tecnico nell’ambito della squadra risulta di fondamentale importanza nella preparazione degli atleti.
È ruolo preminente del medico, oltre alle diagnosi e alle terapie, evidenziare le fasi di gioco e gli atleti a rischio e guidare tecnici e preparatori atletici nell’allenamento del giocatore in modo da formare atleti meno predisposti agli infortuni.
Tralasciando gli aspetti specifici della riabilitazione delle specifiche patologie, vogliamo evidenziare come protocolli generali di recupero possano essere di grande aiuto nella gestione del giocatore di rugby.
Protocolli per favorire il recupero rapido e prevenire le sindromi ad overtraining dovrebbero sempre prevedere alternativamente:
cool down session: sessioni dedicate di defaticamento dopo tutte le partite e gli allenamenti con esercizio cardiovascolare aerobico leggero, stretching dinamico e statico,
ice baths: bagni freddi dopo le partite e gli allenamenti faticosi (contatto) con immersione degli arti inferiori in acqua fredda addizionata di ghiaccio,
crioterapia: dopo i traumi per ridurre dolore e spasmo con relativo incremento del flusso sanguigno locale profondo, dei livelli di ossigeno e del metabolismo tessutale (soprattutto nei tessuti a lenta rigenerazione, fibre muscolari bianche e tendini), con aumento delle difese immunitarie (leucocitosi, granulocitosi, aumento attività cellule natural killer e incremento di interluchina 6),
contrast baths: bagni caldo-freddo dopo le attività ad elevato impegno muscolare per l’azione di pompa biologica grazie all’effetto vasodilatante del caldo in contrasto con quello vasocostrittivo del freddo con riduzione dello spasmo muscolare, attenuazione del dolore, più rapida rimozione delle scorie metaboliche e rinnovo di sostanze nutrienti,
massoterapia: incremento del flusso sanguigno locale, riduzione della sensazione di fatica muscolare e diminuzione del ristagno di liquidi nelle zone declivi, rimodellamento muscolare con rimozione delle adesioni e dei nodi muscolari ed incremento della circolazione linfatica,
terapia fisica: TECAR terapia per riattivare i meccanismi autoriparatori dell'organismo e produrre la biostimolazione dei tessuti con un incremento della circolazione sanguigna, azione antalgica, drenante e decontratturante,
short recovery: reidratazione elettrolitica ed energetica: l’assunzione di liquidi, elettroliti, carboidrati e piccole dosi di proteine entro 30 minuti dalla fine dell’esercizio fornisce i nutrienti necessari al recupero e stimola l’organismo verso una fase anabolica (fig. 3)
Riteniamo, naturalmente, molto importante fornire, attraverso protocolli nutrizionali e di integrazione specifici, un giusto apporto di nutrienti attraverso un’alimentazione corretta e personalizzata ai giocatori nelle diverse fasi della stagione. Per quanto riguarda le patologie da sovraccarico, anche grazie all’esperienza maturata nella gestione dei giocatori della Nazionale Italiana in preparazione alla Coppa del Mondo Australia 2003, riteniamo particolarmente utile una valutazione ecografica del sovraccarico tendineo con controlli seriati durante la stagione.
La metodica ecografica permette di individuare, in fase preclinica, gli atleti a rischio di sindromi da sovraccarico tendineo e consente così di realizzare un intervento tempestivo, personalizzando il programma riabilitativo, l’allenamento e il gesto atletico.

CONCLUSIONI
Gli incidenti di gioco sono piuttosto comuni per chi pratica questo sport.
Per limitare gli infortuni quindi deve assolutamente essere posta maggior attenzione alla preparazione atletica, alla tecnica individuale e all’apprendimento dei fondamentali, in particolar modo del placcaggio, cosa che sicuramente già avviene ad alto livello ma che forse è ancora troppo sottovalutata a livello amatoriale o di campionati minori.
Contemporaneamente sorge la necessità di creare un gruppo di studio che coinvolga tutte le Società in una scrupolosa raccolta di dati epidemiologici relativi agli eventi traumatici, al meccanismo di lesione ed ai rischi associati. Tutto ciò assieme ad un continuo aggiornamento delle regole del gioco contribuirà a rendere questo meraviglioso sport sempre più sicuro.

BIBLIOGRAFIA
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