Laserterapia e rieducazione propriocettiva:
nuove prospettive nella riatletizzazione delle lesioni
distorsive dell'articolazione tibio-tarsica
D. Vittore, M. Nisi, L. Rotuno, M. Ranieri, D. Sinesia


ABSTRACT
XXI Congresso Internazionale di
Riabilitazione Sportiva e Traumatologia
S. Della Villa

Disciplina del doping e farmaci dopanti
P. Meli

La parola al radiologo
Ruolo della risonanza magnetica e dell'artro-rm nello
studio del conflitto interno postero-superiore della spalla

F. Di Pietto, M. Zappia, F. Ginolfi


Immunoflogosi e cronobiologia del processo
infiammatorio. Un nuovo approccio farmacologico
in traumatologia sportiva

C. Massullo

Le patologie articolari nell'ambulatorio
del medico di famiglia
a cura della Redazione

Artroscopia di gomito: indicazioni, controindicazioni,
complicanze e tecnica chirurgica

M. Borgni, E. Abello, M. Guelfi, F. Priano


Un sindaco e lo sport
E. Luna


I NOSTRI
INSERZIONISTI

Airtal

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Merilin

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TransAct









Anno 11 - Numero 3/4 - 2011
IL MEDICO SPORTIVO
Periodico di aggiornamento scientifico e
professionale


Disciplina del doping e farmaci dopanti

avv. P. Meli
Foro di Parm
a

Introduzione
Il termine doping viene comunemente impiegato con riferimento al fenomeno della somministrazione o assunzione da parte di atleti di sostanze farmacologiche idonee a modificare le condizioni psicofisiche dell'organismo. Negli anni '60 è la Francia il primo Paese al mondo a dotarsi di una legislazione organica in materia.
Alla fine degli anni '80 il fenomeno, forse perché non debitamente stigmatizzato anche agli occhi dell'opinione pubblica, non ha mai suscitato particolare allarme sociale. Sono le Olimpiadi di Seul, del 1988, con il caso di Ben Johnson, squalificato per l'accertata assunzione di steroidi anabolizzanti, che segnano l'esplosione del fenomeno che finalmente inizia ad essere percepito in tutta la sua gravità.

Ecco che allora, nel corso degli anni '90, parallelamente alla diffusione di nuovi prodotti che costituiscono le nuove frontiere del doping e che dimostrano l'abitualità del fenomeno, si è anche assistito da parte degli organi sportivi internazionali soprattutto, ad una più consapevole presa di coscienza del problema.
Quanto al nostro Paese, si sarebbe dovuto attendere il 14-12-2000 perché il Parlamento italiano si dotasse della prima legge organica in materia, la legge n. 376/2000.
Invero, in Italia per lungo tempo si è ritenuto che la lotta al doping potesse essere sostanzialmente rimessa alla disciplina prevista dall'Ordinamento Sportivo. Come è stato infatti osservato, nel nostro Paese, prima dell'entrata in vigore della legge n. 376/2000 mentre era pacifico che il feno-
meno del doping integrasse un'ipotesi di «illecito sportivo» in quanto condotta idonea ad influenzare fraudolentemente l'esito di una gara, altrettanto non poteva dirsi, dal punto di vista dell'ordinamento giuridico statale, che integrasse un'ipotesi di illecito penale. L'unica strada percorribile per sanzionare penalmente l'illecito sportivo de quo era quello di ricorrere al reato di truffa. Tuttavia, dottrina e giurisprudenza avevano palesato non poche perplessità in ordine all'applicabilità di tale fattispecie criminosa al fenomeno del doping.
Perplessità analoghe sarebbero poi state avanzate anche in ordine all'applicabilità all'ipotesi in oggetto del reato di frode in competizioni sportive di cui alla legge n. 401/1989. Ma l'importanza dell'intervento legislativo del 2000 non è solo quella di aver previsto una disciplina organica e coordinata di una materia in passato solo frammentariamente trattata bensì anche quella di avere orientato l'attività sportiva nel senso della promozione e tutela del bene salute. Ciò rappresenta indubbiamente un importante elemento di novità della normativa in materia di doping, posto che sino ad oggi il fenomeno era stato valutato e disciplinato pressoché esclusivamente come violazione degli obblighi di correttezza e lealtà. Ci si è resi conto, in altri termini, che costituendo il doping una pericolosa e grave minaccia sia delle regole di fair play che disciplinano lo svolgimento dell'attività sportiva sia della salute degli atleti, si sarebbe dovuta individuare e perseguire una uniformità di disciplina a livello comunitario. Così, dopo che alla Conferenza Mondiale sul doping di Losanna del febbraio del 1999 si è evidenziata la necessità di un nuovo approccio, nel senso più sopra indicato, alla lotta al doping, il Consiglio Nazionale del CONI, il 22-6-2000, ha approvato il Nuovo Regolamento dell'attività antidoping del CONI. In linea generale, va rilevato che i principi ispiratori della nuova disciplina sono quelli già enunciati alla conferenza di Losanna del 1999. Si esordisce infatti all'art. 1, 2° co., sancendo il principio che

«il doping è contrario
ai principi di lealtà e
correttezza nelle competizioni sportive, ai valori culturali dello sport, alla sua funzione di valorizzazione delle
naturali potenzialità fisiche
e delle qualità morali
degli atleti»
art. 1, 2° co., regolamento attività antidoping

Ciò premesso, in estrema sintesi, si rileva ancora che il regolamento de quo si snoda in un articolato di quattordici disposizioni, parte delle quali dedicata alla individuazione degli organi competenti ed alle sanzioni applicabili in relazione a ciascuna pratica vietata, altre di carattere, per così dire, procedurale, che disciplinano la procedura e le modalità di espletamento dei controlli nonché l'eventuale applicazione delle sanzioni.
Il regolamento prevede pertanto l'istituzione di nuovi organismi quali:


a) Commissione antidoping, avente, tra l'altro, la funzione di organizzare e gestire i controlli antidoping a sorpresa;
b) Commissione scientifica antidoping con funzioni di studio, ricerca ed approfondimento di questioni tecniche;
c) Ufficio procura antidoping, cui compete in esclusiva il potere di indagine in materia per individuare eventuali responsabilità di tesserati delle Federazioni sportive nazionali in ordine ad attività vietate dal regolamento.

Di rilievo sono anche le disposizioni relative alle norme procedurali per l'effettuazione dei controlli antidoping (cfr. art. 8) nonché quelle relative agli adempimenti connessi ai casi di positività (artt. 9 e 10).
L'art. 11 è invece dedicato alla violazione delle norme antidoping e relative sanzioni.
Ma la novità di maggior rilievo è indubbiamente rappresentata dal fatto che il regolamento de quo enuncia la nozione giuridica di doping uniformemente valida in tutto il mondo sportivo. Invero, ai sensi dell'art. 1, 1° co., per doping si intende:


a) la somministrazione, l'assunzione e l'uso di sostanze appartenenti alle classi proibite di agenti farmacologici e l'impiego di metodi proibiti da parte di atleti e soggetti dell'ordinamento sportivo;
b) il ricorso a sostanze o metodologie potenzialmente pericolose per la salute dell'atleta o in grado di incrementare artificiosamente le prestazioni;
c) la presenza nell'organismo dell'atleta di sostanze proibite o l'accertamento del ricorso a metodologie non consentite facendo riferimento all'elenco emanato dal CIO e ai successivi aggiornamenti.

Sennonché, al fine di garantire una uniforme e generalizzata applicazione della disciplina de qua in tutte le Federazioni sportive nazionali, è espressamente sancito l'obbligo, ex art. 14, del recepimento nei singoli ordinamenti sportivi federali della nuova disciplina.
In difetto, la nuova disciplina troverà automatica applicazione anche in deroga, eventualmente, alla difforme disciplina federale. La FIGC, da parte sua, ha recepito il regolamento dell'attività antidoping con delibera n. 107 del Commissario straordinario del 27-7-2001 approvato dalla Giunta esecutiva del CONI con delibera n. 678 del 31-7-2001.
Per quanto concerne la disciplina della L. 376/2000, in ordine ai farmaci, il monitoraggio costante sul territorio nazionale dei quantitativi di sostanze dagli effetti dopanti commercializzati in Italia, nell'art. 7, impone ai produttori, importatori e distributori di farmaci appartenenti alle classi vietate dal CIO e dall'Autorità statale, l'obbligo di dare annualmente notizia al Ministero della Sanità dei quantitativi di ogni singola specialità farmaceutica prodotta, importata e distribuita alle farmacie, ospedali o altre strutture autorizzate.


Le singole ipotesi delittuose e relativi elementi costitutivi.
La nuova legge prevede e disciplina tre diverse ipotesi delittuose:


1) il delitto di procacciamento, somministrazione, assunzione o favoreggiamento dell'impiego di sostanze dopanti, punito, salvo che il fatto costituisca più grave reato, con la sanzione da tre mesi a tre anni di reclusione e con la multa da lire 5 milioni a lire 100 milioni;
2) il delitto di adozione o sottoposizione a pratiche mediche dopanti punito, salvo che il fatto costituisca più grave reato, come la ipotesi indicata al n. 1;
3) il delitto di commercio illegale di farmaci o sostanze dopanti punito con la reclusione da due a sei anni e con la multa da dieci e centocinquanta milioni.

Analizzando le diverse ipotesi delittuose previste dal 1° co. si rileva anzitutto come la norma descriva più fattispecie tra loro evidentemente alternative quali per l'appunto il procurare ad altri, e somministrare, l'assumere, il favorire comunque l'utilizzo di sostanze dopanti. Anche a questo proposito ci si chiede se, qualora vengano poste in essere più azioni fra quelle indicate dal 1° co., sia o meno configurabile una pluralità di violazioni. Autorevole dottrina lo esclude, almeno ogni qualvolta le diverse condotte siano realizzate in un medesimo contesto cronologico e funzionale.
Trattasi, inoltre in relazione ad ognuna delle fattispecie di cui al 1° co., di reato di tipo comune nel senso che può essere realizzato da qualunque soggetto e non dunque necessariamente da parte di un atleta tesserato, di un allenatore o medico sportivo che sia. La condotta è poi di tipo sicuramente commissivo.
Come è facile intendere la legge n. 376/2000 opera una equivalenza dal punto di vista penale tra le condotte di doping vere e proprie (ad esempio l'assumere sostanze dopanti) e quelle consistenti in una mera attività comunque volta a favorirla (come ad esempio il procurare ad altri delle sostanze dopanti). Iniziando l'analisi delle singole fattispecie dalla condotta consistente nel «procurare ad altri», qui si evidenzia come la stessa si realizza tramite qualsivoglia condotta di procacciamento di sostanze dopanti, a prescindere dalla quantità della sostanza procurata, dal numero di cessioni, dal titolo oneroso o gratuito dell'atto di cessione. Diversamente dalla condotta consistente nella somministrazione della sostanza, il reato di procacciamento non sembra richiedere la materiale dazione all'atleta consumatore, essendo sufficiente ad integrarla la mera attività di intermediazione tra acquirente finale e fornitore nel procurare la sostanza dopante. Lo stesso dicasi quanto alla condotta di favoreggiamento che attiene invece a tutta quella gamma di comportamenti e condotte finalizzati a favorire l'atleta nell'acquisto e utilizzo delle sostanze dopanti. Con riferimento a questa specifica ipotesi delittuosa, sono state sollevate da più parti in dottrina numerose obiezioni. Così si è osservato che la condotta di favoreggiamento, ben si presta ad essere utilizzata per colpire tutta quella variegata serie di comportamenti, altrimenti non sanzionabile, che senza integrare un procacciamento piuttosto che una somministrazione di sostanze dopanti, molto più semplicemente ne facilita l'impiego. Ciò che si teme, è cioè il rischio che nella fattispecie de qua vengano fatte ricadere e conseguentemente punite tutte quelle condotte che pur svincolate dai requisiti normativi sul concorso di persona nel reato, abbiano semplicemente facilitato la pratica del doping. Come pure certe condotte di mera connivenza passiva. Quanto infine alla somministrazione, autorevole dottrina evidenzia come alla stessa vadano

«ricondotte tutte quelle
situazioni nelle quali ci si imbatte in una prescrizione medica volta consentire
a taluno la disponibilità
di sostanze dopanti»


Un'ultima osservazione in merito alla condotta, sempre rientrante nella previsione di cui al 1° co. dell'art. 9, relativa all'ipotesi di assunzione da parte dell'atleta delle sostanze vietate, la rigorosa scelta del legislatore italiano, diversamente da quanto avvenuto in altri paesi, di sanzionare penalmente la condotta dello stesso atleta, che non è più visto, evidentemente, come mera vittima di un meccanismo distorto, ma come soggetto pienamente responsabile delle proprie condotte.
Anche la scriminante di cui all'art. 50 c.p. incontra un limite di operatività in tutti quei casi in cui vengono in gioco offese al diritto della salute che, in quanto costituzionalmente garantito, non può mai essere leso neppure con il consenso del titolare. In buona sostanza l'atleta assuntore è punito perché non può validamente disporre di un bene quale quello della sua salute.
Descritte in questi termini le diverse fattispecie di condotte delittuose di cui al 1° co. dell'art. 9, occorre rilevare che in tutti i casi, ai fini della configurabilità del reato in oggetto, da un lato si necessita di un ben preciso elemento soggettivo, dall'altro è altresì richiesta una concreta idoneità delle sostanze a modificare le condizioni psicofisiche o biologiche dell'organismo.
Ne deriva che per formulare un giudizio di penale responsabilità, sarà necessario al di là della sussumibilità delle sostanze dopanti nell'alveo di quelle vietate, appurare nel caso concreto se i farmaci assunti incidano negativamente sulla salute dell'atleta. In conclusione, il procedimento da seguire è quello tipico del giudizio di pericolo con l'avvertenza, come è stato osservato, che l'idoneità della sostanza di incidere sulle condizioni psicofisiche dell'atleta deve essere valutata non già ex post bensì ex ante sulla base cioè della loro intrinseca idoneità a provocare determinati effetti.
Quanto all'elemento soggettivo, mentre la dottrina è divisa in merito alla configurabilità del dolo, generico o specifico, la giurisprudenza sul punto è orientata nel senso di ritenere il dolo richiesto dalla norma in esame quale «dolo specifico».
Un breve cenno deve essere poi svolto in merito alle due ipotesi, normativamente previste, ricorrendo le quali le condotte descritte al 1° e 2° co. risultano scriminate, e cioè allorquando il fatto costituisce più grave reato (morte o lesione grave) e quando l'uso della sostanza dopante sia terapeutico.
Terza ed ultima ipotesi criminosa è poi quella prevista dal 7° co. dell'art. 9 relativa al commercio illegale di sostanze e farmaci dopanti. Recita la norma:

«(...) Chiunque commercia i farmaci e le sostanze farmacologicamente o biologicamente attive ricomprese nelle classi
di cui all'art. 2 comma 1, attraverso canali diversi dalle farmacie aperte al pubblico, dalle farmacie ospedaliere,
dai dispensari aperti al
pubblico e dalle altre strutture che detengono farmaci direttamente, destinati all'utilizzazione del paziente, è punito con la reclusione da due a sei anni e con la multa da lire dieci milioni a lire centocinquanta milioni (...)».

Come è stato osservato, l'ipotesi delittuosa in oggetto non mina direttamente, così come fanno invece le ipotesi descritte al 1° e 2° co., né al bene salute dell'atleta né alla lealtà e probità della competizione, quanto piuttosto al commercio non autorizzato delle sostanze dopanti.
Ciò posto, la circostanza relativa al trattamento sanzionatorio indubbiamente ben più grave delle altre fattispecie si spiega, evidentemente, in considerazione del fatto che la cessione delle sostanze realizzata con carattere di organizzazione, professionalità e continuità al di fuori dei canali autorizzati, desta indubbiamente maggiore allarme e preoccupazione. Peraltro, secondo autorevole dottrina, per via del fatto che la norma sanzioni la condotta del commercio illegale, la fattispecie è da ritenersi integrata solo nel caso dell'esercizio abituale dell'attività di vendita illegale e non già anche nel caso di più cessioni di attività di intermediazione nella vendita, costituenti episodi isolati.
Va da sé che essendo costruita l'ipotesi de qua come reato di pericolo, per cui è sufficiente ad integrarla il semplice svolgimento di una attività di commercio abusivo di sostanze dopanti, esula dalla fattispecie l'effettivo impiego che delle sostanze stesse venga poi fatto così come pure il fine perseguito. Quanto all'elemento psicologico dottrina e giurisprudenza concordano sul punto della necessità della volontarietà dell'azione unita alla consapevolezza che i prodotti commercializzati rientrino tra quelli vietati dal decreto ministeriale.
In particolare si è affermato che:

«(...) l'art. 9 VII comma (...) a differenza delle ipotesi
di cui al I e II comma
non richiede il dolo specifico e cioè il fine di alterare
le prestazioni agonistiche degli atleti (...)».
Anche la pena, infine, è aumentata allorché ricorrano le ipotesi aggravanti di cui al 3° co. dell'art. 9.


Conclusioni
Con l'entrata in vigore della legge n. 376/2000 l'autorità statale ha dunque voluto operare il proprio diretto coinvolgimento nella lotta al doping, cercando di contrastare il fenomeno dell'agonismo, inteso quale competizione senza limiti, nell'affermazione e tutela del bene salute dell'individuo, così come costituzionalmente previsto, al di là delle forzature demagogiche imposte da una società che vuole sempre oltrepassare i limiti della natura.
Il ruolo degli organismi sportivi nella lotta al doping è così sicuramente riuscito ridimensionato, quanto meno nelle funzioni di indirizzo e controllo delle attività volte a contrastare il fenomeno.
Sennonché, considerati da un lato gli indubbi vantaggi che presenta il meccanismo sanzionatorio sportivo (quali anzitutto la maggior speditezza procedimentale unita alla più efficace forza deterrente della sanzione sportiva che incide sulla singola gara e sul futuro professionale e reddituale dell'atleta), nonché d'altro lato le perplessità da più parti sollevate, che la minaccia di una condanna penale possa di per sé sola portare a risultati effettivamente apprezzabili.
è auspicabile anzi essenziale che l'Autorità Giudiziaria e quella Sportiva collaborino tra loro nella lotta al fenomeno, ponendosi come precipuo e comune obiettivo un intervento di carattere deterrente al fine di impedire quella "esacerbazione competitiva" che si pone come modello culturale attuale. ■